L'editoriale di ClicLavoro Veneto: welfare e parità di genere nel mondo del lavoro
Normative e nuovi modelli organizzativi in grado di garantire maggiore flessibilità nel mondo del lavoro e favorire un'occupazione femminile stabile e di qualità
Le prime ad ottenere la parità salariale non sono state le operaie della Ford di Dagenham, vicino Londra, con la loro mobilitazione nel’ 68.
In realtà ad ottenere per prime un giusto salario sono state le italiane, le tessitrici di Biella. Nel 1945 "il contratto della montagna" sancì per la prima volta la parità retributiva tra uomo-donna. L’accordo valeva per tutte le fabbriche tessili del Biellese.
In Italia, il tasso di occupazione femminile resta tra i più bassi d’Europa e in Veneto la situazione è solo leggermente più confortante. In particolare, nel 2023 (ultimo dato annuale disponibile) il tasso di occupazione delle donne tra i 15 e i 64 anni nel 2023 è pari al 62,8%, mentre quello più recente, relativo al terzo trimestre 2024, fa segnare un 62,9%. Nonostante la crescita registrata negli ultimi anni, si tratta di un dato ancora molto distante da quello maschile (quasi 15 punti percentuale in meno). L’ostacolo maggiore alla parità non si manifesta nel momento in cui la donna inizia a lavorare ma in seguito, con gli avanzamenti di carriera e le premialità.
Molteplici sono stati gli interventi legislativi a livello nazionale, in linea con la Strategia Europea sulla Parità di Genere, tra cui l’introduzione della certificazione sulla parità di genere, la modifica del rapporto sull’occupazione femminile, esteso alle aziende con più di 50 dipendenti anziché 100, e l’introduzione del registro imprese virtuose da parte del legislatore regionale con la legge n. 3/2022 “valorizzazione dell’occupazione femminile”.
L’Europa ha varato una direttiva che ha l’obiettivo di combattere il divario salariale di genere: è la numero 970 del 2023 pubblicata il 10 maggio sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, che dovrà essere recepita entro luglio 2026. Tale normativa comporterà sicuramente per l’Italia l’aggiornamento dell’art. 46 del Codice delle Pari Opportunità, che disciplina il contenuto del suddetto rapporto biennale sull’occupazione maschile e femminile. L’Unione Europea richiede dati più precisi: in particolare, l’indicazione del divario retributivo mediano e la trasparenza retributiva già in fase di selezione del personale. Una integrazione che potrebbe favorire comparazioni più efficaci.
Gli strumenti normativi sono dunque chiari e ben definiti, come chiaro è il ruolo chiave della contrattazione di secondo livello per sconfiggere il gender pay gap: sotto la spinta della Legge n. 125/1991, che ha introdotto le cosiddette azioni positive in superamento del divario tra uomo e donna, ormai in quasi tutti i contratti di primo e secondo livello sono previste Commissioni, Osservatori e Comitati Paritetici sulle politiche di genere, alle quali può essere affidato il compito di elaborare proposte specifiche per la creazione di una vera politica di inclusione a sostegno delle lavoratrici. Evidente è la connessione tra l’occupazione femminile e un adeguato sistema di welfare, che sia in grado di offrire servizi al fine di garantire un’equa condivisione dei carichi di cura familiare, che altrimenti ricadono molto spesso sulla donna, con il correlato tema del lavoro femminile "tra le mura domestiche" non pagato.
Guardando ai sistemi di welfare locali, la pandemia da Covid-19 ha evidenziato come la messa a terra di misure che possano favorire il lavoro delle donne passi soprattutto da iniziative coordinate e di rete. Nell’attuale contesto economico sociale oggi si avverte sempre di più l’esigenza della costruzione di un sistema di welfare regionale integrato, così come incentivava la Regione del Veneto nell’ormai lontano 2017 con la Legge n. 15, con particolare riferimento agli strumenti di sostegno alle donne e alle famiglie in grado di favorire la conciliazione dei tempi di vita e lavoro, quali ad esempio un'offerta di adeguati servizi territoriali e domiciliari per il supporto nel lavoro di cura.
Oggi la nuova frontiera è il WAT, cioè il welfare aziendale territoriale, che rappresenta una visione più moderna e integrata del benessere dei dipendenti, che non solo considera il contesto aziendale, ma si collega anche alle opportunità e alle risorse disponibili nel territorio. Il welfare aziendale territoriale rappresenta l’evoluzione comunitaria del welfare aziendale, si sostanzia in reti multi attore di dimensione locale, composte da soggetti pubblici e privati, aziende e associazioni del terzo, che si cofinanziano, coproducono e cogestiscono interventi sociali per la comunità di riferimento, facendo emergere in maniera preponderante il ruolo del Terzo Settore nella creazione di risposte ai bisogni delle persone.
Lo strumento della certificazione, come quello regionale del Registro Imprese Virtuose, sono un importante mezzo per la diffusione, all’interno del mondo del lavoro, di nuovi modelli organizzativi capaci di favorire una flessibilità dei tempi di lavoro anche in funzione delle esigenze personali e familiari delle lavoratrici e dei lavoratori, rispondenti a ragioni riferibili al merito e alle pari opportunità, che però vanno combinati con un sistema di welfare territoriale integrato. Solo in tale maniera arriveremo ad una piena occupazione femminile, stabile e di qualità.
Tiziano Barone, Direttore Veneto Lavoro
Silvia Cavallarin, Coordinatrice Veneto Welfare
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