L'editoriale di ClicLavoro Veneto: il lavoro femminile tra il costo della flessibilità e il valore della parità
In occasione dell'8 marzo, le ricercatrici dell'Osservatorio regionale mercato del lavoro analizzano numeri e caratteristiche dell'occupazione femminile e riflettono sulle sfide ancora da affrontare
E anche quest’anno è arrivata la Giornata internazionale della donna…
Un po’ – e a scriverlo siamo tre donne – è abbastanza sconfortante ritrovarsi a ricordare e a mettere in fila le questioni che nel mondo del lavoro, dell’economia e della società in genere ancora devono essere risolte affinché si realizzi una piena parità. Una parità che – lo ricordiamo ai più distratti – non è contro l’universo maschile ma è insieme e all’interno delle nostre comunità a favore di tutte e tutti e, soprattutto, delle nuove generazioni.
A rigor del vero, negli ultimi anni, il dibattito sulla partecipazione femminile al lavoro e sugli ostacoli che ancora devono essere abbattuti per sostenerla non è più fortunatamente relegato al solo 8 marzo ma, soprattutto nei nostri territori, la riflessione e l’impegno sono senz’altro continui e diffusi. Va dato merito di questo a coloro che dentro le organizzazioni sindacali, le aziende e le associazioni imprenditoriali, le realtà del Terzo Settore e del volontariato e, non da ultimo, le istituzioni si sono spesi e continuano nel tempo ad alimentare il dibattito e a costruire una visione nuova, concreta sulla parità. Ricordiamo, ad esempio, l’impegno che sta portando avanti la Regione del Veneto anche attraverso l’esperienza del Progetto P.A.R.I. “Progetti e Azioni di Rete Innovativi per la parità e l'equilibrio di genere” a cui, l’anno scorso, si era affiancata la campagna “Equamente al lavoro” realizzata da Veneto Lavoro a sostegno della Legge Regionale n. 3 del 15 Febbraio 2022 “Disposizioni per la promozione della parità retributiva tra donne e uomini e il sostegno all’occupazione femminile stabile e di qualità”. L’occasione dell’8 marzo può essere quindi oggi anche un momento in cui celebrare il rinnovato impegno che coinvolge diffusamente e a più livelli le nostre comunità.
Allo stesso tempo, anche per quest’anno si adatta molto bene il tormentone del rapper italiano Shade che riprendeva il Mandrake di Gigi Proietti in “Febbre da cavallo”: bene, ma non benissimo. Non possiamo infatti permetterci di ignorare la distanza che, in particolare nel lavoro, ancora separa le donne da una piena partecipazione. In Italia, il tasso di occupazione femminile resta tra i più bassi d’Europa. Non è solo una questione di pari opportunità, ma di crescita economica, sociale e – dobbiamo dirlo – culturale per tutto il Paese. In Veneto, la situazione è appena più confortante. Nel 2023 (ultimo dato annuale reso disponibile al momento dall’Istat), le donne tra i 15 ed i 64 anni occupate costituiscono il 62,8% della popolazione femminile in età lavorativa (62,9% il tasso di occupazione relativo al terzo trimestre 2024). Una partecipazione che negli ultimi anni è cresciuta ma che si mantiene ancora a buona distanza – 15 punti percentuali circa il divario occupazionale – da quella maschile.
Le criticità che ancora devono essere superate sono ormai note e ampiamente documentate. Molte donne si trovano intrappolate in una doppia segregazione: orizzontale, perché concentrate in settori meno remunerati e con minori prospettive di carriera; e verticale, perché faticano ad accedere a ruoli di leadership. Come ha spiegato bene Claudia Goldin – economista statunitense premio Nobel per l’Economia 2023 per i suoi studi sulla storia economica al femminile e le dinamiche di genere nel mercato del lavoro – le donne spesso cercano occupazioni più flessibili per conciliare vita e carriera, e questo le penalizza nei salari e nelle opportunità di avanzamento. Eppure, anno dopo anno, le diplomate e le laureate non solo tengono il passo, ma superano i loro colleghi uomini nei risultati scolastici e accademici, smentendo nei fatti l’idea che sia una questione di merito. Tutto questo ha un’ulteriore conseguenza certificata dall’Inps nel Rendiconto di genere 2024. Una carriera discontinua, in settori meno remunerati o con poche ore lavorate, significa pensioni più basse e il rischio di esporsi a povertà futura: il perfetto esito del divario retributivo e contributivo accumulato nel corso della vita lavorativa.
In molte esperienze, il passaggio chiave nel proprio percorso è la maternità. Un momento decisivo che non riguarda solo la vita personale ma lo diventa anche per quella lavorativa. Di fronte alle nuove esigenze familiari ancora troppo spesso in capo unicamente o principalmente alle donne, pesando gli stipendi che entrano in famiglia dove spesso il reddito della donna è inferiore rispetto a quello dell’uomo, facendo banalmente i “conti della serva”, mettendo in fila le spese, la presenza o meno di una rete familiare di sostegno o di servizi e relativi costi, le misure di conciliazione esistenti etc. molte donne interrompono la loro carriera o scelgono un part-time – che, in troppi contesti, non ritorna mai più ad essere un tempo pieno –, con ricadute permanenti in termini di percorsi professionali e di reddito.
Temi questi, in particolare quello dell’uscita dal lavoro entro il primo anno di vita del figlio/a, su cui, grazie anche al confronto e allo stimolo arrivato dalle organizzazioni di rappresentanza del territorio, l’Osservatorio regionale Mercato del Lavoro si sta interrogando ed ha avviato una ricerca specifica. L’obiettivo non è solo quello di descrivere il fenomeno ma di approfondirlo per mettere in relazione le barriere al rientro delle donne nel mondo del lavoro e le possibili strategie da attivare – anche a supporto dell’incontro domanda-offerta di lavoro – con le politiche di welfare, gli strumenti di flessibilità lavorativa e le misure di sostegno alla genitorialità.
In sostanza ci stiamo chiedendo se le considerazioni alla base delle valutazioni, forse poco lungimiranti, su cui poggiano le scelte delle donne siano davvero la pietra tombale su una situazione di fatto che non può evolvere in altro modo se non sacrificando carriera e reddito. L’indagine ci dirà. Dopo, sui risultati, ci proponiamo di continuare il positivo dialogo con i diversi soggetti del territorio che si occupano di lavoro perché questa ricerca non resti un esercizio di analisi, ma possa trasformarsi in proposte concrete per cambiare prospettiva. Risposte che partano dalla realtà quotidiana delle donne e sappiano tradurre la retorica della parità in politiche e pratiche capaci di dare valore al lavoro femminile in ogni sua forma, senza costringerlo a scelte di rinuncia o penalizzazione. Solo così potremo dire di aver aperto la strada a un’economia e una società davvero inclusive e generative.
Buon 8 marzo.
Letizia Bertazzon, Monia Barazzuol e Ilaria Rocco
Ricercatrici Osservatorio regionale Mercato del Lavoro - Veneto Lavoro
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