L’editoriale di ClicLavoro Veneto: quanto lavoro a tempo determinato può essere tramutato in occupazione stabile?
Il dibattito sul decreto dignità ha posto l’attenzione sul contratto a tempo determinato, spesso in bilico tra l’essere considerato un sinonimo di precarietà e una via d’accesso verso un’occupazione più duratura
Il recente dibattito su una maggiore precarietà del mercato del lavoro attuale rispetto a quello di dieci anni fa sembra aver puntato il dito contro il tempo determinato, accusato di aver contribuito a sacrificare diritti e stabilità del lavoro sull’altare della flessibilità.
Tra gli obiettivi dichiarati del decreto dignità c’è quello di disincentivare e limitare il ricorso al lavoro a termine in favore di un’occupazione più stabile, come del resto avevano già fatto, almeno nelle intenzioni, diversi provvedimenti dei Governi precedenti. Lo stesso Jobs Act aveva identificato il contratto a tempo indeterminato come la forma di assunzione privilegiata, prevedendo un susseguirsi di incentivi, alcuni dei quali particolarmente generosi, ma senza riuscire a porre un freno all’aumento del lavoro a termine.
Se da un lato risulta certamente interessante valutare i possibili effetti concreti dell’ultima riforma, dall’altro è forse ancora più opportuno ragionare sul ruolo che il contratto a tempo determinato assume all’interno del mercato del lavoro e su quanta parte di lavoro a termine potrebbe davvero essere tramutata in occupazione stabile, considerando quelle che sono le caratteristiche del nostro tessuto imprenditoriale e sistema produttivo.
Riguardo all’impatto occupazionale del decreto è possibile fare solo delle stime. Secondo quelle della contestata relazione tecnica allegata al decreto stesso, le nuove regole produrrebbero su tutto il territorio nazionale una perdita di 8 mila posti di lavoro su un totale di 2 milioni di contratti a tempo determinato attivati (pari allo 0,4%). Tanti infatti sarebbero i lavoratori che al termine dei 24 mesi di contratto non riuscirebbero a trovare un nuovo impiego. Un impatto decisamente marginale in termini di riduzione della domanda di lavoro complessiva.
Un’altra indagine è quella effettuata dall’Osservatorio di Veneto Lavoro, che ha simulato l’effetto del decreto sui rapporti di lavoro a termine attivi in Veneto nel 2017. In questo caso l’analisi si limita ad osservare come se le nuove regole fossero già state in vigore lo scorso anno, i rapporti di lavoro interessati sarebbero stati circa 80 mila. Difficile però prevederne il destino, tra ipotesi di aumento del turnover, semplice riduzione dei livelli occupazionali o spostamento verso altre forme contrattuali, anche più stabili.
E proprio su quest’ultimo punto è utile fare una riflessione. Il contratto a tempo determinato, per definizione, costituisce uno strumento finalizzato a rispondere a specifiche esigenze produttive o stagionali, spesso legate all’incertezza del ciclo economico, ma in alcuni casi viene utilizzato dalle imprese in modo improprio, per far ruotare nel corso degli anni più lavoratori nella medesima posizione. Un altro studio di Veneto Lavoro afferma che in Veneto la stima dei posti fissi mascherati da lavoro a termine è al massimo di circa 40 mila unità, mentre la maggior parte dei lavoratori impiegati con contratto a tempo determinato risulta effettivamente legata a posti di lavoro che rispondono ad esigenze provvisorie. Si tratta di un dato ricavato dal numero di imprese che hanno impiegato almeno un lavoratore con contratto a termine tutti i giorni dell’anno, e per questo chiaramente sovrastimato, e che riguarda prevalentemente imprese non stagionali con oltre 15 dipendenti (compresi enti pubblici, esclusi dal decreto).
Posto dunque che l’occultamento di posti fissi con contratti a termine rappresenta, almeno in Veneto, un fenomeno marginale, seppur presente, si tratta allora di stabilire se, oltre che strumento privilegiato per il lavoro temporaneo o stagionale, il tempo determinato possa anche essere considerato uno strumento di inserimento nel mercato del lavoro capace di accompagnare il lavoratore verso un’occupazione più stabile. In altre parole, se tale contratto rappresenti per le imprese una sorta di periodo di prova nei momenti di maggiore incertezza.
In termini assoluti non deve stupire l’aumento dei contratti a termine osservato negli ultimi anni in quanto dovuto a diverse cause: l’avvio di una ripresa economica che però rimane incerta, le mutate caratteristiche del mercato del lavoro, che hanno portato ad una maggiore incidenza del settore terziario e di comparti quali il turismo caratterizzati da una forte stagionalità, e la stretta su altre forme precarie quali voucher e collaborazioni.
Ma stando ai più recenti dati di Veneto Lavoro, a tale aumento si è accompagnato anche un contestuale incremento delle trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato: nel primo trimestre del 2018 sono cresciute addirittura del 60% rispetto allo stesso periodo del 2017, superando per valore assoluto anche il trimestre record del 2015 (13.900 trasformazioni contro le 8.700 di allora), soprattutto per quanto riguarda i giovani di età compresa tra i 25 e i 30 anni. Oggi un contratto a tempo indeterminato su tre deriva dalla trasformazione di un contratto a termine. Ma non solo, perché allargando il perimetro di osservazione si scopre che il 50% delle assunzioni a tempo indeterminato effettuate in Veneto è ascrivibile a imprese con le quali c’era già stato in precedenza un rapporto di lavoro con altra tipologia, spesso a tempo determinato. L’aver già lavorato nella stessa impresa rappresenta il più delle volte una variabile decisiva.
Alla luce di questi dati, seppure risulti difficile, se non impossibile, stabilire con esattezza quanto lavoro a tempo determinato possa trasformarsi in tempo indeterminato, è facile invece prevedere che buona parte dell’incremento del lavoro a termine osservato in questi anni possa tramutarsi nel medio periodo in un’occupazione più stabile. Perché ciò accada appare pero indispensabile agire su entrambi i fronti: limitare o rendere più costoso il tempo determinato può non bastare senza misure che incentivino in vario modo il ricorso a tempo indeterminato.
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- Fonte: Luca Candido, redazione di ClicLavoro Veneto