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Pubblicato il 28.04.2023

L’editoriale di ClicLavoro Veneto: la capacità di reggere l’urto del cambiamento

In vista del Primo Maggio il Direttore di Veneto Lavoro Tiziano Barone analizza le nuove criticità e, insieme, le sfide che il mercato del lavoro post pandemia ci pone di fronte


Il 2022 ha rappresentato per il mercato del lavoro veneto l’anno della ripresa post pandemia. L’anno si è chiuso infatti con un aumento di circa 30 mila posti di lavoro dipendente e un volume di assunzioni superiore non solo ai due anni precedenti, ma anche ai volumi registrati nel periodo pre-crisi. E anche il 2023 si è aperto sotto buoni auspici. Se il rimbalzo occupazionale post Covid era stato sospinto soprattutto dal lavoro a termine, per l’incertezza che ancora induceva i datori di lavoro alla cautela, la crescita dell’ultimo anno è invece determinata principalmente dall’aumento dell’occupazione stabile, anche attraverso la trasformazione dei contratti a termine attivati proprio un anno prima.

Ma il mercato del lavoro oggi è cambiato, ci pone di fronte a nuove criticità e, insieme, nuove sfide, determinate anche dalle tre caratteristiche che più lo contraddistinguono.

La prima, la continua distruzione e ricostruzione di posti di lavoro tra un settore e l’altro. La ripresa economica e occupazionale ha portato a un forte incremento dei flussi in entrata e in uscita dal mercato del lavoro, che oggi sono arrivati a toccare volumi addirittura superiori a quelli pre-pandemia. Nell’ultimo anno anche l’industria, unico settore che ad oggi non ha ancora recuperato tutti i posti di lavoro persi nell’arco dell’ultimo decennio a causa della crisi post 2008 e del processo di terziarizzazione che ha interessato il mercato del lavoro regionale, ha mostrato un saldo particolarmente positivo, perfino superiore a quello dei servizi, che da anni ormai fanno da traino all’occupazione in Veneto. Lo stesso fenomeno delle dimissioni, cresciute del 15% rispetto al 2021 e del 35% sul 2019, dimostra che oggi un lavoratore con competenze spendibili può trovare, anche abbastanza facilmente, un impiego più confacente alle proprie aspettative (economiche, contrattuali, di carriera professionale, di crescita personale, di conciliazione dei tempi di vita e lavoro). E le opportunità non mancheranno nemmeno in futuro, considerato che da qui al 2027, secondo un recente rapporto Unioncamere-Anpal, il mercato del lavoro italiano avrà bisogno di 3,8 milioni di lavoratori, di cui 2,7 milioni in sostituzione di quanti usciranno dal mondo del lavoro e 1 milione di nuovi ingressi legati alla crescita economica prevista nel prossimo quinquennio.

Il lavoro c’è e ci sarà, quindi. Ma rischia di non esserci per tutti.

Questo ci porta alla seconda caratteristica peculiare del mercato del lavoro odierno: la polarizzazione tra alte e basse qualifiche, le due figure più ricercate oggi a discapito di quelle intermedie. Ma chi ha un’alta qualifica ha la possibilità di scegliere e nel farlo può mettere in gioco non solo l’aspetto economico ma, sempre di più, anche quello del tempo a disposizione per sé e per la propria famiglia. Se fino a qualche tempo fa eravamo abituati a sentir dire l’azienda “le farò sapere” al termine di un colloquio, oggi spesso è il lavoratore che può permettersi di dirlo. Chi ha basse qualifiche (o medie) fa invece più fatica e rischia di rimanere bloccato. Sono questi i lavoratori che hanno bisogno di servizi di ricollocazione sistematici.

La polarizzazione del mercato del lavoro è inoltre uno dei fattori che determinano le crescenti tensioni sul lato della domanda di lavoro (terza caratteristica). Il mismatch lavorativo non deve più essere considerato un fenomeno emergenziale ma un elemento strutturale di tutte le regioni competitive come il Veneto. I dati ci dicono che mediamente su 100 posti di lavoro disponibili, 50 sono di difficile reperimento e di questi 25 lo sono per ragioni demografiche e altri 25 per disallineamento tra competenze richieste dal mondo produttivo e competenze possedute dai lavoratori. Quello della demografia è un tema che non possiamo permetterci di non tenere in considerazione. Da qua al 2030 rischiamo di non avere le risorse necessarie per il nostro sistema economico: secondo i dati Istat in Veneto mancheranno all’appello 150 mila persone in età lavorativa a causa del calo demografico, 400 mila se restringiamo l’osservazione alla fascia d’età 15-44 anni. Le aziende dovranno contare sui lavoratori over 50, che però non basteranno a colmare tutti i vuoti.

Quindi, che fare?

Serve soprattutto un’elevata capacità di reggere l’urto del cambiamento, sia in termini individuali che di sistema.

Le risposte al problema demografico devono essere strutturali e sono necessariamente di lungo periodo: politiche familiari che favoriscano la natalità, gestione più efficace dei flussi migratori, percorsi formativi più attinenti alle esigenze del tessuto produttivo del territorio, anche aumentando l’offerta di ITS e formazione professionalizzante.

Sul tema del mismatch lavorativo è invece possibile intervenire con azioni più tempestive, di breve e medio periodo, agendo sui processi di incontro tra domanda e offerta di lavoro, sul sistema delle politiche attive del lavoro, sulla capillarità dei servizi, sulla capacità attrattiva di imprese e territori, sulla convenienza delle offerte.

In termini di sistema dei servizi per l’impiego, è necessario garantire tempi di risposta più rapidi e una maggiore qualità e diffusione territoriale dei servizi. Noi concepiamo i nostri Centri per l’impiego come una sorta di “medico di base”, in grado di accompagnare e orientare i lavoratori più distanti dal mercato del lavoro. Anche in quest’ottica, attraverso sportelli lavoro attivati presso i Comuni e uffici decentrati dei Centri per l’impiego, stiamo allargando il più possibile i punti di contatto sul territorio, in una logica di massima prossimità dei servizi al cittadino. Nei nostri sistemi mettiamo a disposizione mediamente 6 mila offerte di lavoro e sul fronte delle politiche attive abbiamo creato un catalogo online (denominato OPAL) contenente tutte le opportunità formative regionali, utile in termini di orientamento sia per le persone che per gli operatori. Il programma GOL, che sta entrando a regime in questi mesi, rappresenta inoltre un cambio di passo rilevante perché consente di uniformare a livello nazionale l’offerta di politica attiva e impone a chiunque entri in disoccupazione di attivarsi nella ricerca di un nuovo lavoro o nell’aggiornamento e rafforzamento delle proprie competenze.

Ma la sfida del cambiamento impatta anche sia sull’impresa che sulla persona. Le aziende devono innanzitutto condurre processi di ricerca e selezione accurati, facendo emergere in modo chiaro, pubblico e trasparente i propri bisogni e rivolgendosi ai diversi canali disponibili, dalle associazioni di categoria ai Centri per l’impiego e alle agenzie di recruiting e intermediazione. Una volta individuato il candidato giusto bisogna dimostrarsi in grado di attrarlo e trattenerlo, con uno stipendio adeguato, con politiche di welfare aziendale, strumenti di flessibilità, attività di formazione, garantendo percorsi di crescita professionale e contribuendo allo sviluppo di una forte cultura aziendale. È una questione di cura del capitale umano: il lavoratore oggi va corteggiato e il talento ricompensato. È anche in quest’ottica che si deve leggere il forte aumento dei contratti a tempo indeterminato cui stiamo assistendo in questo periodo: in una fase di difficoltà di reperimento di figure professionali adeguate, per mancanza di candidati o di competenze, il datore di lavoro cerca di tenersi stretti i lavoratori che ritieni validi.

Ma nel cambiamento anche la persona è chiamata ad un’assunzione di responsabilità nel mantenere aggiornate le proprie competenze, in una sorta di obbligo formativo “etico”. Da questo punto di vista è inevitabile interrogarsi su quale sia il “senso del lavoro” nel proprio percorso di crescita, non solo professionale ma anche personale, perché il lavoro impatta inevitabilmente sulla vita delle persone. Indipendentemente dalla risposta che ognuno di noi può darsi, porsi questa domanda è un fattore indispensabile per concepire il lavoro non solo come un mezzo di sostentamento, magari intriso di rinunce e sacrifici, ma come espressione della persona e della propria identità, uno strumento di autodeterminazione e realizzazione personale, costruito su una solida rete di relazioni, professionali e umane.

 

Tiziano Barone, Direttore Veneto Lavoro

 

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