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Pubblicato il 26.06.2018

La storia del lavoro in Veneto: Porto Marghera e il petrolchimico

Creato nel 1917 il polo produttivo di Marghera ha registrato nell'ultimo secolo impetuose fasi di sviluppo e profonde trasformazioni

L’importanza che Porto Marghera ha assunto nella storia del lavoro in Veneto si può apprezzare pienamente analizzando alcuni dati sulla sua estensione e l’importante ruolo occupazionale che, pur nei mutati contesti produttivi, continuare a mantenere.

Tra zone e portuali e impianti industriali, il polo si sviluppa lungo 2.109 ettari: 1.447 di aree operative e prettamente industriali, servite da altri 662 ettari ripartiti tra canali, specchi d’acqua e rete di trasporti e di servizi. La rete ferroviaria di manovra si dispiega per 45 km, mentre la rete di raccordi stradali copre una distanza complessiva di 40 km. Negli ultimi anni, il mutare delle necessità delle aziende che vi operano ha contribuito anche allo sviluppo della fibra ottica che ha raggiunto un’articolazione che tocca i 7 km di lunghezza.

Secondo il censimento curato dall’Osservatorio Porto Marghera (che fotografa la realtà industriale al 31/12/2016), le aziende operanti all’interno del polo industriale sono 841, in crescita rispetto alle 780 censite a fine 2015. Da un punto di vista occupazionale, invece, gli addetti sono 10.498, la maggior parte dei quali occupati in attività prettamente portuali nonché dei servizi alla persona e alle aziende, segno inequivocabile del processo di terziarizzazione che ha investito Porto Marghera.

La manifattura e le costruzioni, d’altro canto, registrano, rispettivamente, circa 4.000 e 400 impiegati in 169 aziende, a riprova del nuovo trend che sta interessando anche la realtà di Porto Marghera. Storicamente prerogativa di grandi realtà industriali, l’odierno tessuto produttivo è caratterizzato dalla crescente diffusione di realtà medio-piccole che operano nel campo della meccanica, della metallurgia, della cantieristica e del petrolchimico.

La storia di Porto Marghera ebbe inizio il 23 luglio del 1917, quando l’allora presidente del Consiglio, Paolo Boselli, firmò alla presenza del sindaco di Venezia, Filippo Grimani, e di Giuseppe Volpi, presidente della Sade, una convenzione (resa esecutiva il 26 luglio) per la costruzione del porto e di un nuovo quartiere residenziale. I primi lavori, nonostante le difficoltà del periodo bellico, si concentrarono prevalentemente nella realizzazione delle infrastrutture necessarie al decollo industriale, quali lo scavo dei canali di comunicazione o la realizzazione di una embrionale rete ferroviaria.

Nel 1922, infine, sfruttando il know-how maturato nei decenni di attività, la Sade edificò una tra le più grandi centrali termo elettriche italiane dell’epoca, con l’obiettivo di fornire energia elettrica alle nascenti industrie del polo.

Le prime realtà manifatturiere sorsero di lì a poco, specializzandosi, fin da subito, nell’industria pesante e di base. A spiccare per importanza erano il settore metallurgico, particolarmente sviluppato nella filiera dell’alluminio (che da sola riusciva a soddisfare una fetta consistente del fabbisogno nazionale), nella produzione di semilavorati in leghe ferrose, zinco (nel 1936, la produzione di Zinco a Marghera era stimata in 12.000 tonnellate annue) e quello chimico, focalizzato in una vasta gamma di prodotti, tra cui materie prime indispensabili per ulteriori processi produttivi, quali acido solforico o carburo di calcio, nonché i fertilizzanti azotati, le resine sintetiche e le materie plastiche.

Nonostante la difficile congiuntura economica mondiale della seconda metà degli anni ’20, effetto del crollo della borsa di Wall Street, lo sviluppo di Porto Marghera superò, nel 1935, quota 10.000 occupati, per una presenza industriale stimabile in poco meno di 100 realtà imprenditoriali. I livelli occupazionali registrarono una poderosa impennata durante gli anni del secondo conflitto mondiale, quando l’effetto volano delle commesse provenienti dalla forze armate in fatto di armamenti – naviglio militare leggero – nonché in manufatti indispensabili allo sforzo bellico, contribuì a far crescere il numero di occupati fino a quota 17.000. Con la Seconda Guerra Mondiale, d’altro canto, il polo industriale, con l’attiguo porto, divenne un obiettivo bombardato a più riprese dalle forze Alleate. Le operazioni belliche segnarono, di fatto, un brusco rallentamento nell’attività produttiva che, tuttavia, si riprese in un tempo sorprendentemente veloce, grazie anche alla riapertura dei mercati internazionali e al rilancio della domanda interna.

Terminata la fase di assestamento postbellico, che vide un sensibile calo negli occupati, verso la fine degli anni ’40 si assistette ad una decisa ripresa economica. Già nei primi anni ’50, Porto Marghera poteva annoverare 128 imprese che davano lavoro a ben 22.500 operai, segnando di fatto l’inizio di un trend di crescita che, nel 1965, registrò il massimo storico in fatto di occupati. In pieno boom economico, infatti, Marghera era divenuta a tutti gli effetti uno dei principali poli industriali del Paese e impiegava 32.980 addetti.

Un contributo significativo allo sviluppo arrivò dall’espansione del ciclo dell’azoto, finalizzato soprattutto alla realizzazione di fertilizzanti per l’agricoltura, e dal progressivo ampliamento del comparto petrolchimico. Quest’ultimo, inoltre, beneficiò delle sopraggiunte innovazioni tecnologiche. È il caso, ad esempio, del “Moplen”: scoperto nel 1963 dal chimico Giulio Natta (invenzione che gli valse il Nobel), tale materiale si prestava, partendo dal  propilene, alla realizzazione di prodotti resistenti, economici e di larghissimo uso, dai secchi allo scolapasta, ai tubi di scarico.

La seconda metà degli anni ’60 sancì l’inizio di un periodo di difficoltà economica e occupazionale del polo che, a partire dalla metà degli anni ’70, complice anche la crisi petrolifera, iniziò a subire un vero e proprio processo di deindustrializzazione. Il trend di decrescita, protrattosi per buona parte degli anni ’80, è stato parzialmente mitigato dalla progressiva rimodulazione del panorama produttivo di Marghera che, nella cantieristica e nella galassia del terziario, ha trovato una nuova strada di ulteriore sviluppo, senza mai dimenticare del tutto il secondario, grazie anche alla modulazione di strategie produttive, come la riconversione della raffineria Eni nella produzione di biomasse, sempre più ecosostenibili.

E oggi il futuro di Marghera è quanto mai ancora tutto da scrivere.
 

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  • Fonte: Redazione ClicLavoro Veneto

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