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Pubblicato il 17.07.2018

La storia del lavoro in Veneto: l’olivicoltura tra passato e presente

Le origini dell’olivicoltura veneta vantano radici profonde ma è in epoca medievale che l’olio si è diffuso nel territorio quale preziosa fonte alimentare, simbolo liturgico e materia prima per le lavorazioni artigianali

Il riconoscimento della sottozona “DOP Asolo olio extravergine d’oliva della Pedemontana del Grappa”, che interessa il comprensorio territoriale dei comuni di Maser, Fonte, Castelcucco e Monfumo – terra della varietà Asolana – rappresenta l’ennesimo attestato di stima dell’olivicoltura veneta attribuito dal Ministero delle Politiche Agricole e dalla Commissione Europea. Nonostante i limiti geografici, che collocano il Veneto tra gli areali più settentrionali per la coltivazione dell’olivo, la filiera olivicola contribuisce al settore agroalimentare veneto con un giro di affari che si attesta sui 60 milioni di euro annui.

Le produzioni, che nel 2016 si sono estese su 4.950 ettari, sono raggruppate in ben quattro Denominazioni di Origine Protetta DOP, caratteristica che descrive perfettamente l’eccellenza dall’oliveto veneto, capace di raggiungere altissimi standard qualitativi nonostante la limitata diffusione dei terreni coltivabili, le difficoltà di carattere pedologico e climatico.

Tra gli olii made in Veneto, a spiccare è certamente la varietà “Garda” che, per la menzione geografica “Orientale”, viene prodotto in 19 comuni della provincia di Verona. Il Veronese, d’altro canto, da solo ospita poco più del 70% della superficie olivicola regionale (3.530 ettari nel 2016), grazie anche alla diffusione della Dop “Veneto Valpolicella”, ottenuta dalla spremitura delle olive coltivate in 28 comuni della provincia di Verona. A seguire, il Vicentino che nei 560 ettari messi a dimora ospita ben due Denominazioni di Origine Protetta. Si tratta del “Veneto del Grappa”, che interessa 15 comuni della provincia di Vicenza e 16 della provincia di Treviso (Trevigiano che annovera 450 ettari di oliveti), e del “Veneto Euganei e Berici”, ottenuto lungo una fascia di territorio che annovera 28 comuni della provincia di Verona e 15 della provincia di Padova. 

Per quanto concerne i primi dati riguardanti l’andamento dell’annata 2017, a emergere è il generale calo della raccolta di olive, effetto dello stress termico e idrico cui sono andate le piante durante le fasi di fioritura e allegazione. A inficiare sulla produzione finale è stato anche il maltempo, soprattutto l’andamento altalenante delle temperature, capace di indurre squilibri fisiologici che hanno negativamente influito sul raccolto, contribuendo alla generale diffusione della cascola, vale a dire la caduta prematura delle olive dalle piante. Intatta, invece, la qualità dei brand regionali: anche quest’anno, il consumatore potrà fare affidamento su un prodotto di eccellenza, contraddistinto da indubbie proprietà organolettiche.

Le origini dell’olivicoltura veneta possono vantare radici profonde. Evidenze archeologiche e letterarie suggeriscono, infatti, che l’olivo venisse coltivato già in epoca romana, sfruttando le particolari situazioni orografiche e microclimatiche presenti lungo le sponde del Lago di Garda e la fascia collinare della pedemontana veneta. Per attendere una più marcata diffusione delle fronde d’ulivo nel territorio regionale bisogna però attendere la temperie medievale. L’olivo veniva, infatti, tutelato da un’apposita norma contenuta nell’Editto del re longobardo Rotari (643 d.C.), che puniva chiunque arrecasse danno alle coltivazioni. L’impulso alla propagazione della cultura fu comunque opera dei grandi enti monastici, che diffusero le piante in nuovi territori. La spinta fu necessaria anche alla luce dei nuovi valori liturgici assunti dall’olio.

Il cenobio veronese di Santa Maria in Organo, ad esempio, fu promotore dell’introduzione dell’ulivo in Valpantena già a cavallo tra IX e X secolo. Il territorio di Monselice, invece, nel X secolo si ricoprì di uliveti grazie all’intervento delle suore benedettine del monastero di San Zaccaria che, proprio vicino alla località euganea, possedevano una corte. Analogamente, il territorio collinare che circonda la località di Angarano, attualmente facente parte del comune di Bassano, registrava la presenza di alberi d’olivo grazie all’azione dei monaci del cenobio vicentino dei Santi Felice e Fortunato, attratti dalla vicinanza e dalla felice posizione dei declivi.

Tuttavia, oggi come ieri, erano le sponde gardesane a vantare una maggiore concentrazione di coltivi. La bontà dei suoli, unitamente al caratteristico microclima della zona, hanno reso il lago di Garda uno storico “bacino olivicolo” appetito dai principali monasteri dell’epoca: nel 1194 d.C., più di due terzi degli appezzamenti posseduti dal monastero veronese di San Zeno erano coltivati o solamente a olivo, o a olivo e vite promiscui.

All’olivicoltura ecclesiastica si affiancò, ben presto, anche quella laica. Per quanto riguarda il Trevigiano, sappiamo dalle normative comunali redatte nel corso del Duecento che ai proprietari terrieri era stato imposto l’impianto di olivi nei territori ove la coltivazione risultasse possibile e alcuni ritrovamenti archeologici fanno supporre che si trattasse proprio della pedemontana trevigiana. L’olio, infatti, non era solamente una fonte alimentare, ma rappresentava anche una preziosa materia prima per molti processi di lavorazione artigianale. La sua valenza economica e sociale divenne a tal punto importante che, nel corso del XIII secolo, la città di Venezia istituì un’apposita magistratura, la ternaria, con il compito di assicurare l’approvvigionamento di olio alla città e al Dogado, nonché di riscuoterne i dazi assieme a quelli di altri prodotti di rilevanza strategica.

Con l’avvento della Serenissima, la produzione veneta non fu più capace di soddisfare il crescente fabbisogno di olio. Nonostante il perdurare dei coltivi i mercati lagunari si aprirono ben presto a produzioni provenienti dal vastissimo Stato da Mar.

Analogamente a quanto registrato per il vino, l’olivicoltura veneta fu duramente provata dall’eccezionale ondata di freddo del 1709 d.C. Nel corso dell’Ottocento la situazione non migliorò, complice anche il periodo di gelo che colpì il continente europeo e che è passato alla storia con il nome di “piccola età glaciale”. La ripresa avvenne nel Novecento, per merito dell’impegno profuso nel quotidiano dagli operatori del settore: le loro competenze, oltre a consegnarci un prodotto di indiscutibile qualità, hanno contribuito a plasmare un paesaggio dall’indubbia bellezza.

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  • Fonte: Redazione ClicLavoro Veneto

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