La storia del lavoro in Veneto: il merletto di Burano
Un legame indissolubile unisce l’isola veneziana a questa antica lavorazione artigianale affinatasi nei secoli fino a raggiungere fama internazionale
Il vasto bagaglio culturale dell’antica arte del merletto, candidata come Patrimonio immateriale dell’Unesco, attualmente viene tutelato e valorizzato dalla proficua sinergia instauratasi in questi anni tra settore pubblico e privato. Ne è un esempio il Museo del Merletto, ospitato negli spazi della prestigiosa Scuola dei Merletti di Burano attiva nell’isola lagunare tra il XIX e il XX secolo.
Voluto da un Consorzio formato da enti pubblici veneziani e dalla Fondazione Andriana Marcello, l’ente si prefigge l’obiettivo di tutelare la peculiare vocazione dell’isola di Burano attraverso l’attenta pianificazione di una serie di mostre tematiche, nonché l’organizzazione di appositi corsi teorico-pratici rivolti a chiunque voglia cimentarsi con questa particolare lavorazione.
Da un punto di vista occupazionale, nonostante la figura della merlettaia abbia progressivamente perso la centralità economica di un tempo, la memoria di questa produzione perdura tuttora, grazie all’attività di alcuni atelier che continuano a tramandare il vasto know-how tipico di questa lavorazione.
La leggenda narra di un antico legame con il mare: il primo merletto fu infatti un dono della regina delle sirene a un pescatore di Burano, quale ricompensa per la fedeltà dimostrata dal giovane nei confronti della futura sposa. La bellezza del dono, nato dalla spuma del mare, fu tale che le donne del luogo decisero ben presto di imitarne la trama.
Al di là della sua natura fantastica, il mito aiuta a comprendere la natura storica di questa attività. La produzione dei merletti è da sempre una prerogativa femminile e rientra nelle tipiche forme di manifattura domestica. In un contesto socio-economico che traeva i mezzi di sostentamento dalla pratica della pesca, la produzione dei merletti, affinata anche a partire dalla certosina e frequente opera di rammendo delle reti da pesca, significava per le famiglie di Burano poter fare affidamento su un’ulteriore fonte di guadagno, soprattutto durante i mesi di pausa invernale.
Un repentino sviluppo di tale lavorazione artistica si registrò a partire dal Cinquecento, come testimoniato dal boom editoriale che vide, proprio allora, la pubblicazione di numerosi libri, detti “modellari”, raffiguranti disegni e ricami per merletti.
L’impulso per una strutturazione più organica di queste forze imprenditoriali, che trovavano nelle corti patrizie un ulteriore humus fertile su cui attecchire – anche grazie agli orizzonti culturali dell’epoca che vedevano nell’attività di ricamo una sorta di “palestra” per poter affinare le qualità femminili – arrivò da una dogaressa. Si tratta di Morosina Morosini (Venezia, 1545 – 22 gennaio 1614), consorte del doge Marino Grimani, che resse la Repubblica dal 1595 al 1605. Percependone l’elevato potenziale economico, l’illustre esponente della famiglia dei Morosini fondò, sul finire del secolo, un laboratorio che nel momento di massima espansione occupava 130 merlettaie, per realizzazioni esportate e apprezzate anche al di là dei confini della Serenissima.
Le produzioni veneziane, cui si devono sommare quelle private nonché tutte quelle provenienti dagli istituti di carità (il ricamo del merletto divenne, infatti, l’occupazione prediletta negli orfanotrofi, costituendo una sorta di avviamento professionale dell’epoca per le giovani che vi venivano portate), si conquistarono ben presto ampie fette di mercato internazionale, divenendo celermente un vero e proprio status symbol per l’aristocrazia veneziana e del Continente europeo.
L’indubbia eccellenza dei ricami veneziani li fece diventare non solo un accessorio d’abbigliamento imprescindibile ma anche un elemento da sfoggiare e ostentare.
Il Seicento segnò l’apice dell’arte del merletto. I ricami raggiunsero altissimi standard qualitativi grazie all’introduzione del “punto a rosette” o del “punto controtagliato” e le produzioni spaziavano dalle varietà botaniche alle fantasie con piccoli animali e volatili, fino alle inflorescenze indiane. Tutto ciò contribuì ad aumentare in tutta Europa la fama delle merlettaie di Burano. Nella Francia di Luigi XIV, ad esempio, per volere del Re Sole e del ministro Colbert, duecento merlettaie si trasferirono Oltralpe, andando a trapiantare in loco le produzioni veneziane.
Se, dunque, il XVII secolo rappresentò il punto più alto nella storia del merletto, il Settecento ne segnò il repentino declino. Il merletto, simbolo dell’Ancient regime, dell’Europa dei nobili spazzata via dai venti della Rivoluzione francese, decadde infatti dalla moda quotidiana, che decise di virare su modelli decisamente più sobri.
Ma l’Ottocento vide un nuovo rilancio di questa antica tradizione. Merito dei dettami della moda umbertina, che nel pizzo e nel merletto trovava spunti cui attingere, nonché dell’interesse e sostegno economico dimostrato da Margherita di Savoia. E fu così che vennero istituite apposite scuole, delle quali la più celebre fu senza dubbio quella aperta a Burano nel 1872 e che oggi ospita il Museo del Merletto.
Persi i volumi produttivi del passato, oggi le produzioni sono per lo più rivolte a soddisfare la crescente domanda turistica, ma grazie a un ramificato mondo dell’associazionismo, la passione che da sempre si accompagna alla lavorazione dei merletti continua a essere quella di un tempo, nonostante il passare dei secoli.
Tutti gli articoli della rubrica "La storia del lavoro in Veneto" sono disponibili nella Press Area di ClicLavoro Veneto.
- clicklavoro-source Redazione ClicLavoro Veneto