La storia del lavoro in Veneto: il calzaturiero
La fusione tra know how artigianale e sviluppo industriale ha posto le basi per il successo del calzaturiero veneto
Il comparto calzaturiero veneto può vantare, pur nelle diverse peculiarità e rispettive vocazioni, un notevole grado di sviluppo, capace di consegnarci distretti produttivi che guidano le rispettive classifiche in termini di fatturato ed export.
Lo sportsystem di Asolo e Montebelluna, diffuso su 17 comuni della Marca, si distingue anche per la realizzazione di calzature specificatamente ideate per le discipline invernali nonché, ultimamente, per il motociclismo. Al suo interno è racchiuso circa il 70% della produzione mondiale di scarponi da sci e dei doposci e l’80 % delle calzature adoperate dai centauri della strada, per un giro d'affari totale che nel 2016 ha superato i 2 miliardi di euro.
Lungo la Riviera del Brenta, invece, batte il secondo cuore del calzaturiero regionale: composto da poco più di 500 aziende che fatturano poco meno di un miliardo di euro (dati 2016), questo polo deve la sua fortuna a un’altissima specializzazione produttiva e all’elevata qualità dei propri prodotti, comprovata dagli accordi in essere tra le realtà del territorio e le storiche griffe dell’alta moda.
A terminare questo quadro produttivo, proseguendo un’ipotetica geografia manifatturiera, non può non figurare il distretto della scarpa del Veronese, composto da una cinquantina di realtà imprenditoriali che nel 2016 hanno registrano un fatturato di poco più di mezzo miliardo di euro.
I cluster veneti, pur nelle rispettive particolarità, sono accomunati dalla forte propensione all’export, che assorbe buona parte della produzione. In tal senso, il sistema della Riviera del Brenta risulta certamente paradigmatico: dei circa 19 milioni di paia di scarpe prodotte, ben il 91% prende la via dei mercati internazionali. Oltre ai tradizionali canali di interscambio, spicca il progressivo sviluppo della domanda proveniente dai paesi emergenti, destinazione sempre più gettonata per le calzature made in Veneto.
Un altro tratto caratteristico che accomuna i distretti produttivi si può riscontrare nella loro origine storica. A partire dalla temperie medievale, infatti, le principali città venete registrano, al loro interno, una considerevole vivacità nella vita artigianale. La riorganizzazione di queste attività, come si può evincere dagli statuti delle prime corporazioni dei mestieri (la Riviera del Brenta ebbe la sua prima confraternita già nel 1268), contribuì allo sviluppo del calzolaio che, proprio durante l’età di mezzo, veniva distinto dagli altri artigiani della vasta filiera della lavorazione del cuoio.
I primi passi del calzaturiero veneto sono, dunque, gli angusti spazi delle realtà artigianali che, facendo tesoro del know how sedimentato nei secoli, riuscivano a sfruttare le esigenze delle comunità locali: a Montebelluna, nei primi dell’Ottocento, una decina di scarperi, coadiuvati da alcuni garzoni, era sufficiente a soddisfare il fabbisogno di calzature della comunità.
I germi della prima e timida evoluzione dei processi produttivi in ottica propriamente più industriale si possono riscontrare, pur con i dovuti e necessari distinguo, proprio lungo la Riviera del Brenta di fine Ottocento. Nel 1898, infatti, sulla scorta delle esperienze maturate all’esterno da Giovanni Luigi Voltan, a Stra nasce la A.C.R.I.B (Associazione Calzaturifici Riviera del Brenta), uno tra i primi poli calzaturieri industrializzati in Italia. La realtà produttiva, grazie all’introduzione di alcuni macchinari specifici provenienti da Germania e Stati Uniti, nel 1904 era già in grado di dare lavoro a 400 operai, per una produzione giornaliera che si attestava attorno al migliaio di paia.
Una forma analoga, caratterizzata da una vocazione ancora proto-industriale, si può riscontrare anche nella culla del futuro distretto di Montebelluna. A cavallo tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, il comprensorio territoriale di questo angolo di Marca trevigiana poteva vantare una realtà diffusa di piccole attività imprenditoriali, il più delle volte a gestione famigliare, dedite alla produzione di calzature invernali. La peculiarità principale del modello montebellunese sta nella spiccata diffusione del lavoro a domicilio che, alla vigilia del XX secolo, interessava una famiglia su otto.
Superate le difficoltà del primo conflitto mondiale, gli anni ’20 e ’30 del Novecento sancirono il decollo industriale dei distretti produttivi veneti, reso possibile dalla diffusione capillare di nuove realtà imprenditoriali – quali laboratori o aziende specializzate nella realizzazione di componentistica – e dall’introduzione di nuovi processi produttivi nonché materiali innovativi. Tra di essi, a spiccare sono certamente le materie plastiche e, limitatamente allo scarpone del montebellunese, la celeberrima suola Vibram, capace di migliorare ulteriormente prodotti già allora contraddistinti da altissimi standard qualitativi.
Le spinte imprenditoriali dei nostri territori, momentaneamente sopite durante il secondo conflitto mondiale, contribuirono alla celere ripresa di un settore destinato ad una veloce, quanto spettacolare, crescita, segnata da alcune date destinate a passare alla storia. Una di esse è certamente il 1954, anno in cui l’alpinista italiano Achille Compagnoni, assieme al collega Lino Lacedelli, conquistò il K2 calzando stivali prodotti a Montebelluna.
Le performance positive degli anni a seguire riuscirono a consolidare ulteriormente il processo di industrializzazione della filiera della scarpa regionale, grazie anche al progressivo inserimento delle realtà venete nei circuiti internazionali. Il distretto del Veronese, l’esempio forse più “calzante”, trae le sue origini proprio grazie all’attività, il più delle volte contoterzista, che le ditte veronesi instaurarono, durante gli anni ’50, con alcune realtà tedesche.
Le sfide del continuo aggiornamento dei processi produttivi, indispensabile per mantenere il passo dei principali competitor stranieri, sono sempre state affrontate al meglio, grazie all’introduzione di nuove tecnologie e al sapiente utilizzo materiali innovativi (basti pensare alla rivoluzione che segnò l’introduzione dei primi materiali plastici), senza dimenticare il fattore più importante: quello umano, che incarnandosi nell’estrema professionalità degli operatori del settore consegna ai nostri territori una vera e propria eccellenza.
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