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Pubblicato il 30.04.2024

L'editoriale di ClicLavoro Veneto: l’inverno demografico del mercato del lavoro

Comprendere i fattori che determineranno il vuoto di lavoratori che anche il Veneto dovrà fronteggiare nei prossimi decenni è la chiave per superare le sfide che il mercato del lavoro già ci pone


Il mercato del lavoro è cambiato e cambierà ancora. Le dinamiche demografiche in atto ci dicono che la popolazione sta invecchiando e, con essa, l’età media dei lavoratori. Questo significa che a breve dovremo fare i conti con un bacino di lavoratori molto meno ampio rispetto a quello attuale, che già si rivela insufficiente a soddisfare i fabbisogni professionali del mondo produttivo, non solo in relazione alle alte qualifiche, per un problema di mancanza o inadeguatezza di competenze, ma sempre di più, in termini puramente quantitativi, anche per le professioni meno specializzate. Con ripercussioni potenzialmente negative in termini di crescita economica e produttività, capacità di innovazione, sostenibilità dei regimi pensionistici e spesa pubblica in ambito socio-sanitario e assistenziale.

Le ultime analisi di Veneto Lavoro dimostrano come l’invecchiamento della popolazione, determinato da un lato dall’aumento dell’aspettativa di vita e dall’altro dal progressivo calo delle nascite che fa registrare ogni anno nuovi record, sia stato ancora più repentino nel mercato del lavoro, che vede oggi un peso sempre più preponderante dei lavoratori in età matura, a discapito soprattutto delle fasce centrali. Negli ultimi vent’anni il numero di over 54 sul totale di occupati e disoccupati in regione è infatti cresciuto del 60% e costituisce ora circa il 20% del totale delle forze lavoro.

Sono i primi effetti di quello che è stato chiamato “inverno demografico” o addirittura “glaciazione”. In assenza di lavoratori, soprattutto giovani, le imprese ricorrono sempre più spesso agli over 50, che presentano così carriere lavorative più lunghe che in passato e per i quali la fuoriuscita dal mercato del lavoro si fa sempre più ritardata. Basti pensare che tra quanti perdono il lavoro dopo i 65 anni uno su tre trova un nuovo impiego entro un anno e la percentuale sale al 50% tra gli over 54.

Ma, inevitabilmente, quando i "figli" del baby boom, ovvero le generazioni nate tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Settanta, usciranno progressivamente dal mercato del lavoro determineranno un vuoto che difficilmente le nuove generazioni o i flussi migratori saranno in grado di colmare adeguatamente. Andando a vedere i dati, la perdita di lavoratori nelle fasce d’età centrali (14-44 anni) è stata finora bilanciata, almeno in parte, dall’aumento dei lavoratori più maturi e dai cittadini stranieri, ma presto il loro apporto non sarà più sufficiente.

Secondo alcune stime (su elaborazioni di Camera di Commercio Treviso Belluno Dolomiti, CGIA di Mestre, Fondazione Nord Est e Veneto Lavoronei prossimi dieci anni in Veneto mancheranno 200.000 persone in età lavorativa e nel 2040, al netto di migrazioni tra regioni e da o per l’estero, ci saranno 440 mila occupati in meno rispetto ad oggi. Il bacino di lavoratori da cui potranno attingere le imprese sarà quindi molto più ridotto, sebbene, per certi versi e paradossalmente, più giovane e qualificato rispetto a quello odierno perché composto da soggetti mediamente più istruiti e competenti (anche in ambito digitale).

Un fenomeno, quello demografico, che non sembra lasciar presagire repentine inversioni di tendenza e che implica quindi una profonda riflessione sui fattori che lo hanno determinato e sulle sfide da affrontare, sin da subito, per non farsi cogliere impreparati.

Il primo passo è quello di spingere ancora di più sulla leva della formazione e su percorsi di aggiornamento e riqualificazione delle competenze. È necessario che chi è nel mercato del lavoro ci rimanga e che chi ne è fuori possa rientrarci con facilità. Attrarre o mantenere lavoratori sarà la sfida che le imprese, di ogni dimensione, saranno chiamate ad affrontare e potranno vincerla solo avendo cura del capitale umano: salari adeguati, condizioni di lavoro favorevoli, politiche di welfare vantaggiose e strumenti in grado di garantire equilibrio tra vita privata e lavorativa.

Potenziare le politiche e i servizi per le famiglie, inoltre, potrebbe favorire la natalità e la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro. Se nel primo caso i benefici di eventuali politiche di sostegno alle nascite sarebbero visibili solo nel lungo periodo, lo sviluppo di servizi quali asili nido, lavoro agile, congedi parentali o agevolazioni per le madri lavoratrici potrebbe dare nuovo impulso alla partecipazione delle donne del mercato del lavoro, che in Italia resta sensibilmente più bassa della media europea. Proprio per questo, però, i margini per incrementare il numero di donne che lavorano ci sono e si potrebbe così colmare almeno una parte del vuoto demografico che andrà a crearsi.

L’ultimo fattore è quello legato all’immigrazione. I lavoratori stranieri rappresentano una risorsa di cui il mercato del lavoro non può e sempre meno potrà fare a meno. Ma quello dei flussi migratori è un fenomeno che deve essere presidiato, gestito e governato, anche attraverso esperienze che vadano oltre il meccanismo del Decreto Flussi, che con le ultime novità normative sembra comunque funzionare meglio che in passato. Fondamentale sarà l’intensificazione di accordi di cooperazione con i Paesi di origine, attraverso programmi di formazione dei lavoratori e corsi di lingua italiana in loco. Con il progetto Thamm+, ad esempio, che vede coinvolto il Veneto insieme a Lombardia ed Emilia Romagna, prevediamo di formare 500 lavoratori marocchini in ambito meccatronico direttamente nel loro Paese per poi inserirli, entro i prossimi tre anni, nel mercato del lavoro delle tre regioni interessate.

Il mercato del lavoro sarà sempre soggetto a cambiamenti. Il tema dell’automazione ci aveva fatto riflettere circa la possibilità di sostituzione delle macchine all’uomo in molte professioni e di una diminuzione complessiva dell’offerta di lavoro, oggi quello del declino demografico pone l’interrogativo su come affrontare l’inevitabile calo della domanda. Sebbene il lavoro presenti ciclicamente scenari nuovi e complessi, non dobbiamo però temere una sua scomparsa perché il concetto di lavoro è intrinsecamente legato all’essere umano e alla sua interazione con il mondo circostante. Al contrario, dobbiamo abbracciare il cambiamento con fiducia, anticipandone i segnali e preparandosi ad affrontarlo, consapevoli che la sfera lavorativa continuerà a essere parte integrante della vita di ognuno di noi, strumento di crescita personale e collettiva.

 

Tiziano Barone, Direttore Veneto Lavoro

 

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