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Pubblicato il 28.07.2022

L'editoriale di ClicLavoro Veneto: se non possiamo trattenere i giovani, almeno mettiamogli un elastico...

Letizia Bertazzon e Laura Mulas, analiste di Veneto Lavoro, riflettono sulle tendenze demografiche del nostro Paese e sull'opportunità di attrarre o favorire il rientro di persone, talenti e professionalità dall'estero 
 

Le sconfortanti prospettive demografiche per il nostro Paese sembrano prefigurare inevitabili conseguenze anche sulle tendenze del mercato del lavoro dei prossimi anni. Se da anni il calo demografico è prevalentemente attribuibile alla componente italiana, anche la popolazione straniera residente nel nostro territorio nel recente periodo ha cominciato a perdere la sua storica vitalità. A maggior ragione, nei prossimi anni il bacino da cui attingere per garantire un adeguato funzionamento del sistema produttivo locale, ma soprattutto per assicurarne dinamicità e competitività nel confronto internazionale, è destinato, in assenza di correttivi, a diminuire in maniera importante.

Oltre alla progressiva diminuzione delle giovani generazioni, tra i fattori che destano preoccupazione emergono in modo particolare la tentennante attrattività del territorio nazionale nei confronti di nuovi flussi migratori, soprattutto quelli più qualificati, e un numero ancora elevato di trasferimenti all’estero, spesso definitivi.

Ed è su questa questione che vorremmo portare (ancora) a riflettere. I più recenti dati Istat ci dicono, infatti, che neppure durante la pandemia, con la forte restrizione della mobilità delle persone, i trasferimenti di italiani e veneti all’estero si sono fermati. Le cancellazioni dalle anagrafi comunali del Veneto motivate dal trasferimento di residenza all’estero – contraddistinte da un trend di progressiva crescita nell’ultimo ventennio – nel corso del 2020 sono state circa 16.500 (valore poco al di sopra di quello registrato nel 2018) ed hanno interessato nel 71% dei casi persone con cittadinanza italiana, nel 29% cittadini stranieri. Nel 2019, anno nel quale si è raggiunto il numero massimo dei trasferimenti per l’estero, le cancellazioni dalle anagrafi comunali sono state poco più di 18 mila così distribuite: 2/3 italiani; 1/3 stranieri. È significativo osservare come nell’anno della pandemia la riduzione dei movimenti in uscita abbia interessato in larga parte i cittadini stranieri, mentre gli italiani hanno continuato a lasciare la regione.

Di questo fenomeno, sulla sua recente evoluzione e le sue caratteristiche, nonché sulle motivazioni che hanno spinto il trasferimento all’estero di molti veneti nel corso degli ultimi anni, se n’è occupato ampiamente anche Veneto Lavoro nell’ambito degli approfondimenti condotti nell’interessante, seppur breve, esperienza dell’Osservatorio Veneti nel mondo. Le ricerche condotte, anche intercettando giovani e meno giovani partiti dal Veneto e trasferitisi altrove, hanno evidenziato la stretta correlazione esistente tra scelta di emigrare e lavoro.

Come già evidenziato anche in un precedente editoriale di ClicLavoro Veneto, la decisione di emigrare nella maggior parte dei casi avviene sulla base di una scelta consapevole e volontaria, quasi mai obbligata, vissuta come una delle possibili strade da percorrere in una mappa di opportunità che non si limita a prendere in considerazione il contesto nazionale italiano, tantomeno quello regionale, ma si allarga a livello mondiale. Lo scopo è quello di esplorare nuovi contesti, fare esperienze, cercare opportunità di realizzazione personale e lavorativa o far crescere la propria professionalità. E non parliamo solo di una categoria specifica di individui, come nel caso dei tanto discussi “cervelli”, bensì di un insieme composito di persone, professionalità, percorsi di vita.

A quanto pare neppure la pandemia ha radicalmente modificato la propensione di molti a spostarsi all’estero. Pur con dinamiche più attenuate rispetto al passato, come suggeriscono anche le prime stime dell’Istat per il 2021 sui principali indicatori demografici, il numero dei trasferimenti all’estero risulta ancora elevato, coinvolgendo, come si legge nell’ultimo Rapporto Italiani nel Mondo curato da Fondazione Migrantes, una popolazione sempre più giovane, in particolar modo se si guardano gli spostamenti all’interno dello spazio europeo.

Questo, però, non dovrebbe stupire oltremodo. Le giovani generazioni si contraddistinguono per un elevato orientamento alla mobilità. Un tratto che nelle coorti recenti si fa generazionale, come sottolineato in diverse analisi.

Anche in una recente indagine condotta in Veneto per l’Osservatorio Regionale Immigrazione (anch’esso da anni gestito da Veneto Lavoro) su un campione di ragazzi in uscita da alcuni percorsi di formazione professionale, è emersa con chiarezza la “naturalità” di una possibile scelta di spostarsi all’estero per motivi di lavoro. Alla domanda “saresti disponibile ad accettare un lavoro che piace al di fuori dell’Italia se ce ne fosse la possibilità dopo gli studi”, la maggioranza assoluta delle risposte è stata positiva arrivando all’83% nel caso degli stranieri e al 78% nel caso degli italiani.

Difficile dunque pensare di “imbrigliare” le persone, soprattutto i più giovani, legandoli ad un territorio. Oggi come non mai c’è la possibilità di muoversi nel mondo, fare esperienze, cercare la propria crescita e realizzazione in un contesto che, comunque, rimane globale. La scelta di spostarsi, stabilmente o temporaneamente, dal proprio territorio non è una questione prettamente italiana, bensì un fenomeno di portata europea. A dover preoccupare è il fatto che mentre negli altri Paesi si tratta di un processo “circolare”, in Italia gli spostamenti avvengono per la maggior parte in un'unica direzione.

L’attenzione deve quindi, necessariamente, spostarsi: ci si deve preoccupare il giusto per quelli che se ne vanno, ma bisogna attivarsi di più per attrarre persone, talenti e professionalità dall’estero, agevolando quanto possibile il rientro di coloro che dopo l’esperienza altrove decidono di rientrare.

Nel 2019, a fronte di quasi 12mila cancellazioni dalle anagrafi del Veneto di cittadini italiani per l’estero, i rientri sono stati “appena” 5.500; nel 2020, anno della pandemia, a fronte di 11.700 cancellazioni, le iscrizioni dall’estero sono state poco meno di 4.400. Nel caso degli italiani, l’ago della bilancia è ancora abbondantemente inclinato verso un saldo migratorio negativo; ciò significa che molti di quelli che se ne vanno, poi non tornano. E questo non può che peggiorare ulteriormente la già precaria condizione demografica del nostro territorio.

E se è pur vero che l’esperienza all’estero, come evidenziato dall’ultima indagine Almalaurea sui percorsi dei laureati italiani, rappresenta il fattore che accresce in modo più rilevante l’occupabilità dei ragazzi, questo la dice lunga sull’importanza e gli effetti potenzialmente positivi di tali esperienze.

La maggiore propensione alla mobilità internazionale delle generazioni più giovani finalizzata all’esperienza lavorativa può essere però interpretata anche come leva funzionale allo sviluppo del mercato del lavoro del nostro territorio. Difatti, se mobilità chiama mobilità, a beneficiarne, oltre ai singoli percorsi professionali (e personali), è pure il sistema economico e produttivo locale, attraverso la valorizzazione di esperienze e best practices di coloro che fanno rientro nel nostro territorio (o che provengono dall’estero) con un bagaglio di qualifiche e di competenze trasversali oggi così preziose.

In conclusione, dal momento che non possiamo fermare la mobilità, bisogna dunque aprirsi ad una prospettiva diversa e maggiormente focalizzata sulla circolazione delle persone, creando, specialmente nei confronti di chi lascia il nostro territorio, un legame che funzioni come una sorta di “elastico”: se teso e poi rilasciato sarà in grado di ritornare al luogo di partenza insieme a tutta la forza e l’energia accumulata nell’atto di tendersi.

Per fare ciò serve soprattutto un profondo cambio culturale. Sono necessarie iniziative concrete e messaggi chiari che garantiscano un adeguato riconoscimento di quel bagaglio esperienziale che un periodo trascorso all’estero porta con sé. Meglio ancora se con la definizione di specifici strumenti attraverso i quali, nei fatti, rendere tutto questo possibile.

 

Letizia Bertazzon e Laura Mulas, analiste mercato del lavoro Veneto Lavoro

 

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