Agrégateur de contenus

Pubblicato il 25.01.2022

Working poor: in Italia povero un lavoratore su dieci

Le 5 proposte del Gruppo di Lavoro istituito dal Ministero del Lavoro per combattere la povertà lavorativa


Povertà lavorativa ItaliaIn Italia l’11,8% dei lavoratori si trova in condizioni di povertà, a fronte di una media europea del 9,2%, e un quarto dei lavoratori italiani, pur non raggiungendo livelli di povertà, ha una retribuzione individuale particolarmente bassa, ovvero inferiore al 60% della media. E la pandemia ha probabilmente esacerbato il fenomeno, azzerando o riducendo sensibilmente il reddito di molti lavoratori, soprattutto atipici o quanti hanno avuto accesso agli ammortizzatori sociali e alle altre misure introdotte per contrastare gli effetti dell’emergenza Covid-19.

È quanto emerge dalla relazione del Gruppo di Lavoro “Interventi e misure di contrasto alla povertà lavorativa” istituito dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Ma chi sono i lavoratori poveri o, secondo le definizioni internazionali, i working poors?

Sebbene non esista un definizione univoca, secondo l’indicatore adottato dall’Unione Europea, un individuo è considerato in-work poor se dichiara di essere stato occupato per un certo numero di mesi (solitamente sette) nell’anno di riferimento e se vive in un nucleo familiare con reddito familiare inferiore alla soglia di povertà stabilita, generalmente il 60% del reddito medio nazionale.

Considerate le due dimensioni (individuale e familiare) del fenomeno, il salario basso è quindi solo una delle componenti che possono determinare una condizione di povertà lavorativa.

La Relazione mette in evidenza come dietro l’aumento della povertà lavorativa degli ultimi 15 anni in Italia si nascondano, oltre ai salari stagnanti, altri fattori: l’aumentata instabilità delle carriere, l’esplosione del part-time involontario, il diffondersi dei cosiddetti “lavoretti” a basso valore aggiunto e cambiamenti strutturali quali l’aumento del peso dei servizi, più frequentemente caratterizzati rispetto alla manifattura da uno spezzettamento degli orari e dall’outsourcing di determinate attività.

I rischi di povertà sembrano inoltre strettamente collegati alla forma contrattuale, con un’incidenza maggiore nel lavoro autonomo rispetto al lavoro dipendente, alla continuità lavorativa nel corso dell’anno e al numero di percettori di reddito nel nucleo familiare. Quest’ultimo aspetto, in particolare, genera un “paradosso di genere” in base al quale gli uomini sembrano più esposti a un rischio di povertà lavorativa in quanto unici percettori di reddito, mentre le donne, seppure in media meno retribuite degli uomini e quindi maggiormente a rischio di bassa retribuzione, sono nella maggior parte dei casi “seconde percettrici” in nuclei con almeno un altro lavoratore.

Il fenomeno della povertà lavorativa dipende quindi da un insieme di fattori, in cui le dinamiche individuali si affiancano alla situazione familiare, oltre al fatto che la mancanza di lavoro (qualificato, ben pagato e costante nel tempo) è strettamente legata alle dinamiche della domanda di lavoro e al contesto territoriale, economico e sociale.

Le proposte del Gruppo di Lavoro per combattere la povertà lavorativa si concentrano quindi su una strategia di interventi combinati per sostenere i redditi individuali, aumentare il numero di percettori di reddito e assicurare un sistema redistributivo mirato.

In particolare:

  1. Garantire minimi salariali adeguati, attraverso la sperimentazione di un salario minimo o griglie salariali basate sui contratti collettivi in un numero limitato di settori

  2. Rafforzare la vigilanza documentale, cioè basata sui dati che le imprese e i lavoratori comunicano alle Pubbliche Amministrazioni

  3. Introdurre un in-work benefit, ovvero uno strumento di integrazione dei redditi dei lavoratori poveri coerente con il resto del sistema (in particolare, Reddito di Cittadinanza e il nuovo Assegno Unico e Universale per i Figli)

  4. Incentivare il rispetto delle norme da parte delle aziende e aumentare la consapevolezza di lavoratori e imprese

  5. Promuovere una revisione dell’indicatore UE di povertà lavorativa, che prendendo in considerazione solo i lavoratori con almeno sette mesi di lavoro durante l’anno esclude proprio quei lavoratori più esposti al rischio di povertà


Proposte che secondo gli stessi promotori vanno considerate nel loro complesso in quanto nessuna di esse, presa singolarmente, potrebbe rivelarsi risolutiva, rischiando anzi di risultare inefficace o addirittura dannosa.

La relazione del Gruppo di Lavoro “Interventi e misure di contrasto alla povertà lavorativa” è disponibile sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, www.lavoro.gov.it.

 

Plan de Site

Informazioni

Banner Regione Veneto

Banner Veneto verso 2030