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Pubblicato il 29.04.2022

L’editoriale di ClicLavoro Veneto: una Festa del Lavoro all’insegna del cambiamento

In occasione del Primo Maggio il Direttore di Veneto Lavoro Tiziano Barone analizza le trasformazioni che il mercato del lavoro sta evidenziando anche in termini di incontro tra domanda e offerta


Negli ultimi anni il mercato del lavoro ha vissuto profonde trasformazioni e lo shock generato dalla pandemia si è innestato in un contesto che già appariva di grande cambiamento. Un cambiamento di approccio al mondo del lavoro, sia da parte delle imprese che dei lavoratori, che non deve essere letto come conseguenza di una situazione emergenziale ma come una nuova realtà, una condizione strutturale di cui è necessario avere consapevolezza e alla quale è indispensabile adeguarsi.

Non sempre però quando si parla di “mercato del lavoro che sta cambiando” abbiamo ben chiaro cosa si intenda, seppure si tratti di un’affermazione ormai ricorrente e, forse, un po’ scontata.

Ogni situazione di cambiamento determina solitamente forme di disallineamento, più o meno temporanee, dovute alla diversa capacità e velocità di reazione alle nuove condizioni da parte dei vari soggetti in gioco e il mercato del lavoro non fa eccezione. Il primo indizio lo forniscono le crescenti criticità e tensioni che osserviamo nella domanda di lavoro, sempre più spesso inevasa per problemi demografici, di obsolescenza delle competenze, digitalizzazione e ibridazione dei mestieri, fabbisogni professionali che mutano velocemente e, talvolta, modalità di reclutamento poco trasparenti o inefficaci.

Come Veneto Lavoro, ente che coordina e dirige i Centri per l’impiego del Veneto, e in qualità di specialisti del mercato del lavoro possiamo osservare i cambiamenti in atto da un punto di vista privilegiato e alcuni esempi possono rivelarsi chiarificatori.

Capita sempre più frequentemente, ad esempio, che le imprese si rivolgano a noi non solo per trovare potenziali lavoratori, ma candidati disponibili a partecipare a percorsi formativi interni all’azienda, finalizzati all’assunzione. Ciò accade non solo per imprese di grandi dimensioni, magari dotate di vere e proprie Academy aziendali interne, ma anche con gruppi di aziende medio-piccole. In Veneto abbiamo avuto l’esempio di un gruppo di aziende del settore edile che, stanti le difficoltà di reperire serramentisti, hanno deciso di collaborare tra loro per formare direttamente le figure di cui il settore ha bisogno, senza alcuna preclusione sull’età o sull’esperienza pregressa dei candidati.

Un’altra tendenza relativamente recente riguarda le professioni tecniche. Gli ITS, Istituti Tecnici Superiori, si sono rivelati efficaci nel formare figure idonee ai fabbisogni delle imprese, ma sono ancora molto pochi e non in grado di coprire l’intera richiesta in termini quantitativi. L’Università rimane così un bacino predominante dal quale cui attingere per le qualifiche medio-alte. Quello che sta cambiando, però, è il tipo di figura richiesta. In molti casi il possesso della laurea viene ritenuto dalle aziende che si rivolgono a noi un requisito indispensabile a prescindere dalla specializzazione, perché ciò che si cerca in un laureato è la sua capacità di comprensione, rielaborazione e gestione di esigenze e compiti complessi, prima ancora che il possesso di competenze tecniche specifiche. Un esempio: una società di informatica ci ha recentemente richiesto supporto nella ricerca di candidati laureati, non necessariamente con competenze informatiche o scientifiche, che si sarebbero dovuti occupare di recepire e tradurre in schemi mentali le esigenze dei clienti per poi trasferirle al comparto tecnico, a seguito di un percorso formativo interno all’azienda della durata di un anno.

Per altre tipologie di lavori, soprattutto manuali, nelle nostre iniziative di recruiting le aziende manifestano l’esigenza di spazi in cui illustrare ai candidati la tipologia di lavoro da svolgere. Si tratta infatti di mestieri che negli ultimi anni sono profondamente cambiati perché interessati da processi di digitalizzazione, automazione e ibridazione, ma che a causa di preconcetti, stereotipi e scarsa conoscenza risultano ancora oggi poco attrattivi per i giovani.

Ma anche dal lato dell’offerta di lavoro si evidenziano nuove tendenze. La ritrovata dinamicità del mercato del lavoro, rimasto pressoché congelato a causa della pandemia, sta favorendo una maggiore mobilità dei lavoratori. Il dibattito pubblico si è concentrato sul fenomeno delle dimissioni, che qui assume però connotati diversi rispetto alla “great resignation” all’americana cui spesso si fa riferimento. L’aumento osservato in Veneto è riconducibile soprattutto alla volontà e alla possibilità dei lavoratori di trovare migliori occasioni di impiego rispetto a quelle attuali, soprattutto per quei profili professionali (alte ma anche basse qualifiche) che le imprese non solo fanno fatica a reperire ma anche a trattenere.

È vero anche che la pandemia, così come altri fattori esterni al mercato del lavoro, hanno comportato una maggiore attenzione alla conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, soprattutto nei giovani. Anche tra gli utenti dei Centri per l’impiego (che, lo ricordiamo, sono prevalentemente persone disoccupate e quindi attivamente alla ricerca di un lavoro) stiamo registrando una sempre minore attrattività verso l’aspetto economico, se questo va a discapito della qualità della vita. Oggi alcuni impieghi non trovano candidati, anche a fronte di stipendi elevati, perché hanno un impatto più gravoso sulla vita quotidiana in termini di orario di lavoro, flessibilità, tutele e più in generale in termini di welfare, ovvero sul livello di benessere del lavoratore e della sua famiglia, che va al di là della sola retribuzione. Non si tratta di scarsa propensione al sacrificio, ma della ricerca di più spazio per la propria vita privata.

Lascia invece il tempo che trova il dibattito sul reddito di cittadinanza quale disincentivo al lavoro, almeno per quanto riguarda il Veneto, dove incide in misura molto limitata e interessa appena il 5% dei disoccupati disponibili in regione.

Dall’insieme di tutti questi fenomeni, lato impresa e lato lavoratori, deriva un quadro di notevole complessità in termini di incontro tra domanda e offerta di lavoro, che presuppone una sempre maggiore interrelazione tra ambiti, esperienze e saperi, impone nuovi modi di leggere e interpretare tali tendenze, e richiede strategie e risposte innovative.

Oggi più che mai la necessità è quella di comprendere le trasformazioni in atto e reagire tempestivamente, intercettando le possibili traiettorie evolutive. L’imperativo, valido per tutti noi lavoratori, aziende e istituzioni, è attivarsi e saper affrontare questa nuova condizione di “continuo cambiamento” attraverso metodi di ricerca di lavoro duraturi, sostenibili e verificabili nel tempo.

La sfida, che anche il PNRR ci pone in materia di politiche attive con il Programma GOL (Garanzia Occupabilità Lavoratori), è quella di mettere la persona al centro di un sistema di servizi personalizzati, dando priorità a un gruppo ben definito di utenti: disoccupati più vicini al mercato del lavoro, lavoratori che necessitano un aggiornamento delle proprie competenze (upskilling), lavoratori che richiedono interventi di riqualificazione (reskilling), soggetti svantaggiati e persone con disabilità, lavoratori di aziende in crisi a rischio disoccupazione.

In questo contesto Centri per l’impiego e soggetti accreditati continueranno a svolgere un ruolo cruciale nell’erogazione dei servizi e nell’attuazione dei percorsi di politica attiva, in una logica di cooperazione pubblico-privato che da sempre contraddistingue il sistema dei servizi per il lavoro e formativi della Regione del Veneto.

 

Tiziano Barone, Direttore Veneto Lavoro

 

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