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Pubblicato il 24.04.2018

La storia del lavoro in Veneto: il connubio Veneto-vino all'insegna dell'eccellenza

Risale all'epoca romana lo sviluppo di una tradizione che ha portato il Veneto a essere oggi leader mondiale in termini di quantità e qualità delle proprie produzioni vitivinicole

I dati della vendemmia 2017, presentati recentemente al Vinitaly di Verona, certificano il Veneto come una delle regioni più importanti d’Europa nella produzione vitivinicola. Nonostante un andamento climatico non particolarmente favorevole, a causa soprattutto delle gelate primaverili di un anno fa unite alle elevate temperature dell'estate scorsa, il Veneto si conferma ai vertici nazionali per produzione e, soprattutto, esportazioni. Nel corso dell’ultima vendemmia, dagli oltre 80 mila ettari in produzione sono stati ricavati 8,5 milioni di ettolitri, con una diminuzione del 21,5% rispetto al 2016. Un risultato che ha fatto perdere al Veneto il primo posto nella graduatoria nazionale a vantaggio della Puglia, ma che non intacca la qualità delle produzioni: ben il 96% del vino prodotto in regione è infatti un vino a denominazione.

Primato inattaccabile, invece, quello legato all’export: nel 2017 il Veneto ha registrato un nuovo record di 2,1 miliardi di euro di valore, rappresentando il 35,5% delle esportazioni di vino italiane. Buona parte di tale primato è dovuta al fenomeno Prosecco, che con la sola DOP copre poco più di un quarto dell’intera superficie vitata regionale (27.2%), frutta un export di 804 milioni di euro e costituisce il 60% delle esportazioni dello spumante nazionale. Ottimi risultati anche del “Sistema Verona”, con quasi 2 milioni di quintali  ripartiti tra Valpolicella (908 mila quintali), Soave (677 mila), Bardolino (235 mila) e Bianco di Custoza (159 mila), e dalla Denominazione Pinot Grigio delle Venezie, new entry della vendemmia 2017 che ha esordito con una promettente produzione di ben 1.356.000 quintali di uva.

Proprio due di questi territori inoltre, secondo i dati dell'ultimo rapporto annuale di Intesa Sanpaolo su Economia e finanza dei distretti industriali italiani, si sono posizionati ai primi posti della graduatoria nazionale per performance di crescita e redditività: il Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene (al 3° posto con un indice di 80,3 su 100) e i Vini del veronese (6° posto, indice di 70,6).

Tali risultati, favoriti anche dalla storica tradizione enoica della nostra regione, rendono il Veneto leader nazionale e internazionale sia per quantità che per qualità della propria produzione vitivincola.

Una leadership che nasce da lontano, se è vero che le prime tracce di vite vinifera risalgono a ritrovamenti fossili nel veronese databili a circa 50 milioni di anni fa. Ma è in epoca romana che la viticoltura veneta conobbe un notevole sviluppo, grazie soprattutto a un’operazione di riorganizzazione poderale. Sappiamo per certo, infatti, che la Venetia era terra di vini esportati e apprezzati lungo tutto l’impero. La contrazione della produzione registrata durante le invasioni barbariche del V secolo, ebbe modo di risolversi già durante il regno Ostrogoto e, soprattutto, nel corso della parentesi longobarda: nell’editto di Rotari, l’insieme di norme emanate dall’omonimo re longobardo nel 643, la vite veniva tutelata in ben cinque articoli, a dimostrazione dell’importanza rivestita dalla coltura nella società dell’epoca.

I fattori economici, congiuntamente ai valori religiosi assunti dal vino, contribuirono a un vero e proprio boom nella coltivazione della vite durante la temperie medievale. Dai documenti dell’epoca, quali lasciti testamentari, normative comunali e inventari dei grandi enti religiosi, possiamo apprezzare una generale espansione del vigneto, che interessò non soltanto le campagne ma pure gli incolti delle città: ne sono un esempio la Verona del X secolo, la Padova dell’XI e perfino la Venezia altomedievale: nelle isole della Laguna spesso trovavano spazio piccoli orti e vigneti. Con l’avvento della Serenissima, e la costituzione dello “Stato da Tèra”, le produzioni locali iniziarono a confluire sempre più massicciamente a Venezia: la città lagunare, oltre a rappresentare un mercato appetibile, divenne anche centro d’esportazione dei prodotti agricoli della Terraferma, ivi compreso il vino. La crescita della domanda stimolò, inoltre, la nascita dei primi distretti vitivinicoli veneti: il Trevigiano, il Vicentino e il Veronese, le cui campagne andarono sempre più riempiendosi di viti.

La fine della Repubblica e l’Ottocento segnarono un momento di decadenza per la viticoltura regionale, già pesantemente provata dall’eccezionale ondata di maltempo del 1709. La diffusione di malattie, quali oidio, filossera e peronospora, contribuì ad aggravare ulteriormente la situazione, con pesanti risvolti anche in campo occupazionale. La rinascita dell’enologia veneta, tuttavia, trovò impulso grazie alla fondazione di alcuni poli d’eccellenza, tra cui il Cerletti di Conegliano e la Stazione Sperimentale di Viticoltura ed Enologia, capaci di aggiornare alle sfide dei tempi correnti il ricco bagaglio culturale e l’antico insieme di saperi formatosi nei secoli.

Il percorso così tracciato poté svilupparsi lungo i decenni successivi, ponendosi come viatico necessario alla ripresa di un settore che ha contribuito a modellare buona parte del paesaggio veneto che oggi conosciamo.


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  • Fonte: Redazione ClicLavoro Veneto

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