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Pubblicato il 24.07.2018

La storia del lavoro in Veneto: il settore e l’industria agroalimentare

Radicchio, asparagi, marroni, cereali e legumi: la vocazione agricola del Veneto tra passato e continuità 

Le pagine del “Rapporto 2017 sulla Congiuntura del settore Agroalimentare Veneto”, curato da Veneto Agricoltura, ci consegnano un’interessante istantanea sullo stato di salute del settore primario regionale e della sua filiera industriale.

Nonostante un andamento climatico non certo tra i più favorevoli, che ha influito negativamente sulla resa finale di alcune colture, il valore complessivo della produzione lorda agricola veneta ha sfiorato, lo scorso anno, i 6 miliardi di euro. Le aziende attive in Veneto sono 63.637, con una flessione dello 0,7% rispetto al 2016.

Tendenza analoga per quanto riguarda l’occupazione: il numero totale degli addetti in agricoltura è sceso a 68.452 unità (-5,7%), sebbene il numero dei lavoratori indipendenti (46.017, il 67% del totale) sia aumentato di ben 6.000 unità rispetto all’anno precedente. Complessivamente gli occupati agricoli rappresentano il 3.2% del totale degli occupati di tutti i settori produttivi del Veneto, un’incidenza di poco inferiore rispetto a quella del 2016 (3,5%).

In termini qualitativi, l’eccellenza dei prodotti “made in Veneto” è certificata dai dati sull’export agroalimentare regionale. Gli interscambi commerciali hanno toccato nel 2017 i 6,6 miliardi di euro, un risultato che tuttavia non è bastato a evitare un passivo di 483 milioni nella bilancia commerciale agroalimentare dell’anno appena trascorso.

Per quanto concerne le destinazioni, l’Unione Europea si conferma ancora come il mercato di riferimento per il settore agroalimentare Veneto. Anche nel 2017, infatti, le esportazioni venete (che costituiscono il 16,1% dell’export agroalimentare nazionale) hanno raggiunto i mercati comunitari nel 69,5% dei casi, mentre tra i mercati extra UE risultati particolarmente positivi riguardano l’America settentrionale e i paesi asiatici. Entrando nel dettaglio dell’analisi delle performance commerciali con l’estero dei prodotti agroalimentari veneti, il comparto delle bevande, vitivinicolo in primis, la fa da padrona. Bene anche i comparti del lattiero-caseario (+10,1% rispetto al 2016), della carne lavorata e conservata (+4,7%) e dalla filiera delle colture agricole non permanenti (+7,9%).

Risultati che premiano indubbiamente la professionalità degli operatori del settore e, al contempo, attestano l’elevata qualità conseguita dai prodotti della nostra Regione: il Veneto, limitatamente al solo comparto “food”, può vantare infatti ben 36 denominazioni, equamente ridistribuite tra DOP (18) e IGP (18).

Prodotti che, al netto delle rispettive peculiarità, sono accomunati dal medesimo filo conduttore: l’unicità. Questo aspetto, d’altro canto, si prefigura come conseguenza naturale della particolare conformazione pedologica dei nostri territori nonché, al contempo, come frutto di una plurisecolare tradizione che affonda le sue radici nella storia della nostra regione e, come nel caso della ciliegia di Marostica, indissolubilmente legata alla celeberrima partita di scacchi, delle nostre tradizioni.

La coltivazione del marrone, ad esempio, risale già alla temperie medievale. All’epoca gli areali che ora conosciamo come culla di una DOP, "Marrone di S. Zeno DOP" e due IGP, "Marrone di Combai" e "Marroni del Monfenera", il castagno rappresentava un albero da cui trarre una notevole varietà di nutrienti sia per l’alimentazione umana, come surrogato alla ben più costosa farina di cereali, sia per l’alimentazione animale, in particolar modo suina.

A questo proposito, forme di lavorazione analoga a quelle riscontrabili nella realizzazione del “Prosciutto Veneto Berico-Euganeo DOP" si possono riscontrare fin dall’età paleoveneta: gli antichi abitanti del Veneto erano infatti soliti, più di 2.000 anni fa, lavorare le cosce dei maiali per la realizzazioni di quelli che potremmo definire “antenati” del prosciutto.

All’età romana, invece, risale la consapevolezza delle virtù benefiche della cicoria, progenitrice delle celebri varietà di radicchio venete. Sebbene le prime tracce della loro coltivazione risalgano ad età relativamente remote (il capostipite del radicchio di Chioggia IGP era, verosimilmente, coltivato dagli agricoltori clodiensi del Settecento), le coltivazioni degli attuali cultivar sono relativamente recenti e devono molto, in fatto di specializzazione e tipicità, all'introduzione della tecnica "dell'imbianchimento", importata in Italia alla fine del XVIII secolo dal belga Francesco Van Den Borre.

Un percorso analogo si può riscontrare anche nella storia e nella diffusione dell’asparago in Veneto. Conosciuto e apprezzato fin dall’epoca romana, che con ogni probabilità contribuì ad una sua prima diffusione in Veneto, la specializzazione nella coltivazione del “germoglio di primavera”, presente a Cimadolmo fin dal 1679, si può datare, all’incirca, al secondo Dopoguerra: la crisi del tradizionale settore della bachicoltura rese disponibile una crescente quantità di manodopera che, nella coltivazione dell’asparago, trovò una nuova quanto inaspettata fonte di reddito.

Il Veneto, inoltre, può vantare storiche eccellenze anche tra i cereali e i legumi. Si tratta, rispettivamente, delle qualità di riso “Delta del Po IGP” e “Nano Vialone Veronese IGP”, entrambe coltivate sin dai primordi del Cinquecento, e del “fagiolo di Lamon della vallata bellunese IGP”, giunto nel Bellunese nel 1532. Territori alpini che, inoltre, costituiscono una fonte inesauribile di formaggi, plasmati da antichi saperi le cui origini si perdono nella notte dei tempi.

È proprio questo connubio di passione, tradizione e competenza che, rafforzandosi di generazione in generazione, ci ha consegnato oggi un patrimonio dal valore ineguagliabile.

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  • Fonte: Redazione ClicLavoro Veneto

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