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Pubblicato il 01.05.2019

L'editoriale di ClicLavoro Veneto: la responsabilità individuale della formazione

Aggiornare le proprie competenze per rimanere competitivi sul mercato del lavoro è un dovere oltre che un diritto di ogni lavoratore

Negli ultimi anni il mercato del lavoro ha vissuto importanti trasformazioni, anche, ma non solo, a causa della crisi. Oggi i numeri ci consegnano la fotografia di un Paese apparentemente in salute dal punto di vista occupazionale: il numero di occupati è il più alto di sempre tanto in Italia (23,2 milioni) quanto in Veneto (2,1 milioni), il tasso di occupazione è tornato ai livelli pre crisi e quello femminile è ai massimi storici, la disoccupazione scende, anche se lentamente, e il tempo indeterminato è tornato ad aumentare dopo un lungo periodo di contrazione. Ma la recente crescita occupazionale nasconde anche alcune criticità: sono aumentati gli squilibri tra Nord e Sud del Paese, ci sono più occupati a orario ridotto e lavoratori part time, la disoccupazione giovanile rimane elevata e la quota di lavoratori sotto occupati, cioè che lavorano meno di quanto vorrebbero, è più che raddoppiata rispetto al 2006 ed è ora la più alta tra i Paesi OCSE. Il risultato è che oggi il lavoro è sempre più spesso precario, poco qualificato e scarsamente retribuito.

Il mercato del lavoro che cambia. Con l’Osservatorio di Veneto Lavoro abbiamo monitorato alcuni dei fenomeni che hanno cambiato il volto del mercato del lavoro, registrando in particolare evidenti segnali di una progressiva polarizzazione delle professioni, con una crescita concentrata soprattutto nelle qualifiche più elevate e in quelle più basse. Solo per fare un esempio, in Veneto tra il 2008 e il 2018 le posizioni di lavoro dipendente nelle qualifiche di fascia alta (dirigenti, professioni intellettuali e tecniche) sono aumentate di oltre 60 mila unità e quelle meno qualificate di quasi 70 mila, mentre l’occupazione nella fascia intermedia, rappresentata da impiegati e operai specializzati, ha perso quasi 30 mila posti di lavoro. Braccianti agricoli, camerieri, cuochi, commessi e personale non qualificato del settore industriale sono state alcune tra le professioni più richieste negli ultimi dieci anni. Un dato che non sorprende alla luce del graduale processo di terziarizzazione che interessa il mercato del lavoro, soprattutto in Veneto, e del ruolo giocato dall’innovazione tecnologica e dall’automazione industriale, che hanno letteralmente trasformato molti lavori esistenti, con importanti effetti nel tessuto produttivo e nell’organizzazione del lavoro all’interno delle aziende (avanzamento tecnologico, internazionalizzazione, esternalizzazione di intere fasi produttive, ibridazione dei settori). In termini di capitale umano, ciò si è tradotto in una maggiore richiesta da parte delle industrie di laureati e lavoratori qualificati e in un un effetto “travaso” dal settore industriale a quello terziario dei lavoratori meno qualificati.

Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro. Se in un mondo del lavoro sempre più complesso le trasformazioni si rivelano così radicali e repentine, non devono sorprendere le crescenti difficoltà di reclutamento espresse dalle imprese. Secondo i dati di Excelsior Unioncamere il 26% delle assunzioni programmate dalle imprese riguarda professioni di difficile reperimento. Nelle regioni settentrionali, dove il mercato del lavoro è più competitivo ed efficiente, la percentuale è ancora più elevata e nel Nordest raggiunge il 31%. Il possesso di competenze legate al mondo del digitale è ritenuto fattore essenziale nella maggior parte delle assunzioni e tra i primi 30 profili più difficili da reperire, 19 riguardano professioni tecniche. Insomma, le opportunità di lavoro sembrano esserci, almeno in alcuni settori e per determinate categorie di lavoratori, ma non si trovano candidati idonei o sufficientemente preparati. Un problema complesso, che non riguarda solo la formazione dei lavoratori ma anche la capacità delle imprese di offrire lavoro qualificato e appetibile, oltre a fattori territoriali, salariali e legati alle modalità di selezione. In alcuni casi le aziende cercano un candidato già formato, che abiti vicino, che sia flessibile e che costi poco. E lo cercano prevalentemente attraverso canali informali. Qualunque ne siano le possibili spiegazioni, gli effetti del disallineamento tra caratteristiche dei lavoratori ed esigenze delle aziende sono rilevanti: l’incremento delle persone in cerca di lavoro, fenomeni di sovra-qualificazione dei lavoratori e una conseguente mancata valorizzazione del capitale umano.

Il tema delle competenze. Cosa potrà accadere e quanto il mondo del lavoro potrà ancora cambiare nei prossimi anni è difficile prevederlo. Secondo il rapporto OCSE sul futuro del lavoro pubblicato in questi giorni, il 15% dei lavori in Italia è ad alto rischio di automazione e potrebbe quindi scomparire, mentre il 35% dei posti di lavoro potrebbe subire sostanziali cambiamenti, con mansioni molto diverse da quelle attuali. Lo scenario cui andiamo incontro è quello di un’ampia diffusione dei “lavori ibridi”, mestieri che prevedono mansioni più ampie rispetto a quelli tradizionali e competenze più complesse. Il mondo del lavoro è destinato a combinare e integrare sempre di più competenze tecniche, gestionali, informatiche e digitali, e competenze trasversali quali pensiero critico, creatività, intelligenza emotiva, flessibilità. Tuttavia il numero complessivo di occupati non sembra destinato a diminuire. Excelsior stima che entro il 2023 ci saranno in Italia tra 2,5 e 3,2 milioni di opportunità di lavoro fra turnover e nuovi posti, molti dei quali legate alla digital transformation (Big Data, intelligenza artificiale e IoT) e all’ecosostenibilità, ma anche a mestieri più tradizionali quali medici, infermieri, formatori, esperti di marketing. In tale contesto, i servizi pubblici per l’impiego devono farsi garanti di una transizione sicura tra un lavoro e un altro, attraverso servizi di orientamento adeguati, il rinvio al sistema delle politiche attive e favorendo ogni occasione di incontro tra domanda e offerta di lavoro. In Veneto alcuni mesi fa abbiamo avviato un’iniziativa di recruiting diffuso su tutto il territorio regionale, che abbiamo chiamato IncontraLavoro, in cui i Centri per l’Impiego svolgono un ruolo attivo e da protagonisti. Lo scopo è semplice: raccogliere le opportunità di lavoro del mondo produttivo partendo dall’analisi delle specifiche esigenze delle aziende del territorio, che possono essere anche molto diverse tra loro, e metterle a disposizione dei disoccupati iscritti ai Centri per l’Impiego e di quanti vogliono cambiare lavoro. Nelle prime due edizioni abbiamo coinvolto circa 350 aziende e agenzie per il lavoro e migliaia di candidati, per circa 2 mila posti di lavoro disponibili. Per la terza edizione, in programma mercoledì 15 maggio in 15 diverse sedi in tutto il Veneto, ci aspettiamo un’adesione in linea con le precedenti occasioni. Per poter cogliere le opportunità che il mercato del lavoro offre è tuttavia indispensabile mantenere aggiornate le proprie competenze e formarsi professionalmente in maniera continuativa.

Il diritto-dovere alla formazione. Oggi il confine tra formazione e lavoro non è più così netto e lineare. L’aggiornamento delle proprie competenze, anche trasversali, è per il lavoratore un fattore chiave in termini di competitività e una garanzia di sicurezza nella transizione. Un vero e proprio diritto che però risulta ancora poco diffuso e che spesso non riesce a raggiungere proprio chi ne ha più bisogno, come lavoratori a bassa qualifica, con contratti atipici e over 50. L’OCSE ha rilevato che solo il 20% degli adulti in Italia ha partecipato a programmi di formazione professionale nell’anno precedente e che solo il 60% delle imprese offre formazione continua ai propri dipendenti, contro una media europea del 75%. Fortunatamente negli ultimi anni la formazione trova sempre più spazio nelle politiche pubbliche del lavoro e nella contrattazione collettiva, come dimostra il recente caso del CCNL del settore metalmeccanico che prevede formazione per tutti, ma ancora non è sufficiente. Se da un lato istituzioni e imprese devono quindi impegnarsi a garantire l’esigibilità e l’universalità di tale diritto, eliminando barriere di tipo economico e legate alla mancanza di tempo per partecipare ad attività di formazione, dall’altro è necessario agire sulla leva motivazionale attraverso un’assunzione di responsabilità da parte del lavoratore stesso. Serve una maggiore consapevolezza che la formazione non deve essere considerata solo un diritto ma anche un dovere di ogni individuo, perché solo facendosi carico del proprio bagaglio di abilità e competenze, professionali e trasversali, ci si può garantire un percorso lavorativo stabile e duraturo. Lo stesso OCSE sottolinea come il rafforzamento della formazione permanente possa rivelarsi fondamentale per i lavoratori nel gestire il cambiamento e per favorire la transizione tra lavori in via d’estinzione e settori in espansione. Solo così i fenomeni di trasformazione del mercato del lavoro che abbiamo elencato potranno essere colti come un’opportunità di crescita e non vissuti come una minaccia imponderabile che incombe sul proprio futuro lavorativo.


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  • Fonte: Tiziano Barone - Direttore Veneto Lavoro

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