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Pubblicato il 03.09.2019

L'editoriale di ClicLavoro Veneto: meno burocrazia per Centri per l'Impiego più efficienti

Il rilascio di certificati rischia di sottrarre tempo e risorse ai servizi fondamentali di assistenza alla ricollocazione offerti dai CPI

Il potenziamento dei servizi per il lavoro non passa soltanto dalle pur necessarie nuove assunzioni e dai nuovi investimenti in risorse tecnologiche.

Per garantire maggiore qualità alla missione principale dei centri per l’impiego, l’attivazione delle persone nella ricerca attiva del lavoro, occorre quanto più possibile ridurre gli adempimenti strettamente burocratici, che tolgono preziosissimo tempo e risorse umane alle attività di sollecitazione dei lavoratori nella ricerca e di mediazione con le aziende e i soggetti erogatori.

Una delle questioni irrisolte e che purtroppo restano ancora sullo sfondo delle riforme del mercato del lavoro è l’enorme dispendio di energie profuso nella registrazione di disoccupati che, nella realtà, non cercano effettivamente lavoro e, forse soprattutto, nella produzione di una messe enorme di certificati di disoccupazione. I centri per l’impiego spessissimo invece di profondersi ventre a terra nei servizi a lavoratori e imprese per facilitare la spendibilità nel mercato del lavoro, debbono qualificarsi agli occhi degli utenti come “certificatifici”.

Lo stato di disoccupazione. In via preliminare, occorre ricordare quale sia il concetto corretto di disoccupazione. Tale stato è definito dall'articolo 19, comma 1, del d.lgs 150/2015: "Sono considerati disoccupati i soggetti privi di impiego che dichiarano, in forma telematica, al sistema informativo unitario delle politiche del lavoro di cui all'articolo 13, la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l'impiego".

Come si nota, la condizione giuridica di disoccupato presuppone due situazioni:

  1. quella di essere privi di impiego, rispetto alla quale la norma non fa alcuna differenza tra chi l'impiego lo abbia perso e chi non lo abbia mai avuto (non rileva la distinzione statistica tra disoccupati e inoccupati, quindi);
  2. quella di aver rilasciato ai centri per l'impiego la dichiarazione di immediata disponibilità alla ricerca di lavoro.

La persona che risulti priva di impiego, ma non abbia rilasciato la dichiarazione di immediata disponibilità la lavoro, quindi, non è qualificabile giuridicamente come disoccupata.

Divieto di affollare le banche dati dei disoccupati. Il primo aspetto problematico, quello cioè della popolazione delle banche dati con disoccupati solo formalmente tali, discende da una percezione ancora errata da parte soprattutto delle amministrazioni pubbliche competenti per l’erogazione di prestazioni sociali: dai comuni, alle unità sanitarie locali, fino alle aziende ospedaliere.

Le prestazioni sono state connesse per molto tempo appunto allo “stato di disoccupazione” delle persone, sul presupposto che fosse oggettivamente controllabile. Questo ha spinto molte persone che in realtà non hanno concreta intenzione di entrare nel mondo del lavoro a dichiararsi come disoccupati, allo scopo di ottenere le prestazioni sociali, in particolar modo l’esenzione dal pagamento del ticket sanitario.

La normativa sul tema è purtroppo fin troppo convulsa. Invece, come sarebbe opportuno, di dare rilevanza ai soli dati utili, reddito ed eventualmente situazione Isee, negli anni ha proprio richiesto la dimostrazione della disoccupazione. Spesso, quindi, persone affette da patologie anche incompatibili con lo svolgimento di qualsivoglia occupazione hanno dichiarato di cercare lavoro, incrementando impropriamente le banche dati dei disoccupati, con due effetti esiziali: l’affollamento agli sportelli dei Cpi, con incremento parossistico dell’attività burocratica, e l’alterazione dei dati statistici sulla disoccupazione.

A questo ha inteso porre rimedio il legislatore con la chiara previsione contenuta nell'articolo 19, comma 7, del d.lgs 150/2015: "Allo scopo di evitare l'ingiustificata registrazione come disoccupato da parte di soggetti non disponibili allo svolgimento dell'attività lavorativa, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto le norme nazionali o regionali ed i regolamenti comunali che condizionano prestazioni di carattere sociale allo stato di disoccupazione si intendono riferite alla condizione di non occupazione. Sulla base di specifiche convenzioni l'ANPAL consente alle amministrazioni pubbliche interessate l'accesso ai dati essenziali per la verifica telematica della condizione di non occupazione".

Tuttavia, ancora tantissime amministrazioni comunali e soprattutto gli enti del Servizio Sanitario non hanno preso atto della necessità di attuare la disposizione (nonostante due sentenze del Tribunale di Roma che hanno condannato questo comportamento: 17.2.2017, n. 33627/16 R.Gen. e 13.6.2018). Pertanto, l’afflusso di persone che chiedono lavoro solo formalmente, senza una reale intenzione di cercarlo, resta elevatissimo. E i centri per l’impiego sono ulteriormente gravati da oneri burocratici, perché investiti dalle richieste di verifica della situazione occupazionale da parte delle Usl.

Certificazioni. Altrettanto rilevante è la mole di attività finalizzata alla produzione di certificati dello stato di disoccupazione. È vero che i sistemi informatici potrebbero consentire ai lavoratori di produrre da sé, tramite applicativi web o app per gli smartphone, i certificati. Altrettanto vero è che il grado di “alfabetizzazione” informatica dei disoccupati, tra i quali comunque lo smartphone non è molto diffuso, difficilmente consente una copertura sufficiente. Inevitabilmente, la gran parte dei disoccupati va agli sportelli per avere la certificazione.

Non sono pochi i casi di certificati inopportunamente richiesti. Tra essi, ad esempio, banche per la concessione di prestiti, oppure squadre sportive che concedono agevolazioni sugli abbonamenti, come anche catene di supermercati che applicano particolari sconti. Tutto questo pesa per tantissime ore di lavoro allo sportello, ovviamente sottratte ai compiti fondamentali dei centri per l’impiego.

Non è ancora penetrato nella cultura, sia delle amministrazioni pubbliche, sia dei soggetti privati, il concetto della “persona priva di occupazione”, cioè di quel soggetto che non lavora, ma non avendo presentato la dichiarazione di immediata disponibilità alla ricerca attiva di lavoro, non viene considerato giuridicamente come disoccupato.

Le agevolazioni sociali, ma anche dei soggetti privati, dovrebbero considerare questa categoria delle persone che non hanno lavoro senza cercarlo come target specifico, indirettamente riconosciuto dall’articolo 19, comma 7, del d.lgs 150/2015 ed adeguare le proprie prassi. Chiedendo non di qualificarsi come disoccupati, ma di attestare l’attuale assenza di occupazione e di inserimento nelle liste ed utilizzando questa dichiarazione come elemento sufficiente per l’erogazione dei propri servizi.

Al contempo, sarebbe necessario qualificare espressamente il dato dello status di disoccupato come pubblico, per consentire un accesso diffuso alle banche dati (oggi riservato esclusivamente alle pubbliche amministrazioni) a tutti coloro che siano chiamati a controllare che i destinatari dei servizi o delle prestazioni erogate sia rivolta ai corretti destinatari, in modo da automatizzare il processo e così far recuperare ai centri per l’impiego quantità rilevantissime di ore-uomo, da destinare ai servizi veri: l’attivazione, l’orientamento, i tirocini, l’accompagnamento al lavoro, le proposte di formazione e di inserimento lavorativo.

 

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  • Fonte: Luigi Oliveri - Dirigente Veneto Lavoro Ambiti Verona e Vicenza

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