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Pubblicato il 31.10.2018

L’editoriale di ClicLavoro Veneto: il ciclo di vita dei contratti di lavoro più diffusi

Dal posto fisso che “fisso” non è alla sostanziale brevità dei contratti a termine, tutte le sorprese dai dati su esiti, durate e tassi di ricollocazione dei contratti di lavoro dipendente

Il dibattito sul mercato del lavoro spesso si limita a osservare le variazioni intervenute in due momenti specifici, mettendo a confronto due fotografie scattate in un determinato istante e, un po’ come avviene in alcuni giochi di enigmistica, andando a scovarne le differenze (nel caso di dati di stock) oppure calcolando la variazione intervenuta in un determinato arco di tempo (nel caso di dati di flusso), ma raramente ci si sofferma ad analizzare cosa effettivamente sia accaduto nel frattempo e quali movimenti abbiano determinato un certo risultato finale.

Un punto di vista assunto invece dall’Osservatorio Mercato del Lavoro di Veneto Lavoro, che ha recentemente inaugurato un nuovo filone di ricerca basato su indicatori che possano consentire analisi più approfondite dei movimenti del mercato del lavoro regionale e del ciclo di vita dei contratti, pubblicando nella sezione “Tempi & Metodi” del sito istituzionale un documento esplorativo che ci consegna alcuni significativi spunti di riflessione.

Le maggiori sorprese, a dispetto del sentire comune, arrivano dal tempo indeterminato, lungi dal rappresentare davvero quel posto “fisso” tanto agognato, soprattutto nelle piccole imprese e quando costituisce il primo contratto nella carriera lavorativa di un individuo. Circa il 10% dei contratti a tempo indeterminato si interrompe infatti già nel corso dei primi tre mesi (il più delle volte per volontà del lavoratore e non per licenziamento), la metà non dura più di tre anni e solo quattro su dieci arrivano al quinto anno. Se però si arriva al tempo indeterminato non da un’assunzione diretta ma tramite la trasformazione di un contratto a termine le probabilità di stabilità sono leggermente superiori. E a chi perde il posto “fisso” che succede? Il più delle volte per tornare a riconquistarlo la tappa attraverso contratti più precari appare obbligata.

A proposito di occupazione stabile, l’apprendistato si conferma un solido contratto di inserimento lavorativo: nove lavoratori su dieci risultano occupati anche l’anno successivo e la percentuale rimane elevata anche a cinque anni distanza dalla data di osservazione (70%), con un 50% di ex apprendisti che risultano occupati a tempo indeterminato. Circa 10-15 su cento i giovani che invece rischiano di rimanere intrappolati in forme di impiego a termine, mentre una quota non marginale finisce ad ingrossare le fila degli inattivi.

Diversa la tendenza del lavoro a termine, oggi al centro del dibattito perché considerato sinonimo di precarietà. I dati dimostrano, in effetti, che chi è assunto con un contratto a tempo determinato, in somministrazione o intermittente, fatica ad approdare a un’occupazione più stabile in tempi rapidi. A tre anni dalla data di osservazione solo un quarto dei soggetti risulta occupato a tempo indeterminato, il 37% lavora ancora a termine, il 10% è disoccupato e il 25% inattivo. Con il passare degli anni la percentuale degli occupati “stabili” aumenta. Se questo può essere un risultato sostanzialmente atteso, sorprende maggiormente il dato sulla durata effettiva dei contratti a tempo determinato: quasi un terzo si conclude entro il primo mese, poco meno della metà supera la soglia dei tre mesi e appena il 6% raggiunge l’anno. Circa uno su dieci viene trasformato in contratto a tempo indeterminato e molto raramente prima di un anno.

Ultima osservazione è quella sui tirocini, sempre più strumento finalizzato a offrire a giovani e meno giovani la possibilità di sperimentare esperienze in ambito lavorativo. Dai dati arriva la conferma che il tirocinio prefigura una presenza attiva nel mercato del lavoro: laddove non si traduce in occupazione, si manifesta infatti in una ricerca attiva di un nuovo lavoro, ovvero nella condizione di disoccupazione. Ciò significa che nella maggior parte dei casi il tirocinante, al termine della propria esperienza lavorativa, entra, più o meno stabilmente, nel mercato del lavoro o intraprende i percorsi più opportuni per entrarvi.

 

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  • Fonte: Redazione ClicLavoro Veneto

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